Lo Stato islamico è tornato all’attacco in Libia dopo giorni di relativa debolezza. Un convoglio ha assaltato giovedì scorso un checkpoint nell’area di Abu Grein, che è il limite di confine tra Misurata, e dunque la fetta di Libia più vicina al governo protetto dall’Onu e di sede a Tripoli, e la fascia di Sirte, dove i baghdadisti hanno piazzato la propria “fiorente capitale”, per riprendere le parole usate dall’analista del Washington Institute Aaron Zelin in un paper pubblicato l’agosto scorso che fece un primo punto chiaro e completo sulla situazione del Califfato in Libia.
IL PANTANO DI SERRAJ
L’offensiva lanciata dai baghdadisti sfrutta il fatto che il lavoro del proto-governo guidato da Fayez Serraj è impantanato nelle divisioni intralibiche, divisioni che si esplicano anche nella lotta al Califfato: due gruppi disgiunti e non coordinati si sono preparati per lanciarsi su Sirte, hanno fatto molta propaganda su questa missione calcando vicendevolmente il fatto che fosse un atto indipendente, anche per poi ricevere gli eventuali onori in esclusiva, ma per il momento sono fermi ai posti di partenza. Uno di questi, quello che viene da Ovest, è stato addirittura attaccato e ha perso territorio, ripercorrendo una prassi già vista altrove, con lo Stato islamico che sul punto di venir attaccato, attacca per primo; l’altro, adesso, potrebbe sfruttare il buon momento per colpire lo Stato islamico, concentrato su Abu Grein, ma è tuttora comunque fermo.
LA CAMPAGNA GLOBALE
Le azioni degli uomini di Abu Bakr al Baghdadi in Libia sono parte di una campagna militare su larga scala, si potrebbe dire internazionale, che conferma come lo Stato islamico non abbia confine. L’operazione è intestata ad un leader prominente del gruppo, Abu Ali al Anbari, iracheno già presente ai tempi dell’ISI, l’ex al Qaeda in Iraq guidata da Abu Musab al Zarkawi, intimo del Califfo, eliminato da un raid americano a metà marzo. Il fatto che sia dedicata alla memoria di un leader così importante dà spessore alle operazioni, che riguardano sia la Libia, come detto, ma anche le azioni nei pressi di Mosul, in Iraq, e l’attacco ad un minivan della polizia nel Sinai.
LE ULTIME IMMAGINI DIFFUSE
Domenica i comparti media delle province dello Stato islamico in Libia (Wilaya al Tarabulus e Barqa) hanno diffuso molte immagini per raccontare l’offensiva. Alcune (attraverso riprese non nuovissime) mostrano i soldati del Califfo sparare con diversi armamenti e hanno il fine propagandistico di evocare potenza, creare proselitismo, dimostrare di essere pronti e addestrati a qualsiasi battaglia; l’ampia disponibilità di armi in Libia non è una novità, ne godono, nonostante l’embargo Onu, tutte le milizie combattenti.
I CONTATTI CON I CLAN TRIBALI
In altre immagini si mostrano consessi politico-diplomatici, in cui uomini di rilievo di clan interni alle tribù libiche depongono il proprio giuramento al Califfo. Ci sono membri dei Warfalla, grande tribù libica composta da circa 2 milioni di persone: un piccolo gruppo si trovava nelle aree recentemente conquistate dal’Is a sud di Misurata, e probabilmente si sono trovati costretti a giurare fedeltà per tener cara la pelle. Ossia quello che è successo ad alcuni Gaddafa, l’ex clan tribale del rais Muammar Gheddafi, ripresi anche loro dai media califfali. Qua la situazione è più complessa, perché a Sirte la famiglia è prominente, e pare che alcuni componenti abbiano spalleggiato da subito i baghdadisti, rancorosi e desiderosi di qualsiasi genere di rivalsa contro chi li aveva estromessi malamente dal potere (Sirte era diventata una sorta di rifugio forzato per l’ex élite del regime che non era scappata all’estero). Altri invece si sono opposti, seguendo l’approccio molto duro avuto da Gheddafi nei confronti dei gruppi estremisti come Ansar al Sharia, che a Sirte ha passato il proprio network agli uomini del Califfo. Alcuni dei gaddafiani, in un’altra campagna globale dell’Is di rastrellamento iniziata lo scorso mesi in Siria e Iraq e arrivata anche in Libia e Nigeria, sono stati giustiziati o perché traditori e spie, o perché avevano cercato di far fuggire membri della propria famiglia da Sirte. Altri rappresentati tribali presenti nelle immagini diffuse dallo Stato islamico in questi giorni provengono dalla tribù meridionale degli Awlad Suleiman. Questi potrebbero essere oggetto di una politica diversa da parte dei baghadisti, più inclinata verso l’imbonimento, perché controllano le rotte del Fezzan e un loro lasciapassare rappresenterebbe l’apertura di vie di collegamento più consistenti con il sud, ossia quelle del lago Ciad per esempio, dove si materializzano i contatti tra le province libiche dell’Is e quella nigeriana.
IL RUOLO DEI CLAN
Quel che succede in Libia, dal consenso di Serraj all’espansione dell’Is, passa anche attraverso questi consigli tribali, ma non solo. Cristiano Tinazzi, esperto giornalista di esteri che frequenta la Libia da molti anni spiega a Formiche.net: “La questione tribale libica è da trattare in maniera non semplificata. La propaganda dello Stato Islamico tende a dimostrare solo la diversificazione del suo operato all’interno del contesto libico (politica della guerra e politica della diplomazia)”. Il fatto che alcuni notabili tribali siano presenti a questi incontri con altrettanti leader dello Stato islamico non significa che l’intera tribù abbia giurato fedeltà al Califfo, dunque. “Certamente”, aggiunge Tinazzi. L’organo ufficiale dei Warfalla, il Tribal Council, disconosce il Califfato e questi contatti e “questo perché il legame clanico non è esaustivo delle dinamiche della società libica. Non siamo, per citare un esempio, nel sud della Siria o in zone tribali sunnite irachene, dove è tenuta fortemente in considerazione la decisione dei rappresentanti tribali. Se è pur vero che gli elders tribali libici hanno possibilità di poter portate avanti trattative, (come nel caso di accordi di scambi di prigionieri o tregue, non hanno il potere di prendere decisioni univoche che coinvolgano in toto tutto il clan. Per l’altro questo potere varia da città a città”. Un esempio? “Proprio i Warfalla, che sono ramificati sia a ovest che a est della Libia e seguono evoluzioni locali piuttosto che dinamiche nazionali. Anche nel 2011 la tribù era divisa (il riferimento è alla guerra civile durante la caduta del rais Gheddafi. ndr). Nella stessa Sirte il gruppo tribale legato al generale Haftar, i Farjani, è stato decimato dall’Is, ma nello stesso tempo non aveva posizioni laiche vicine a Tobruk”. Lo Stato islamico, dice Tinazzi, tende ad infiltrarsi eliminando concorrenti e oppositori e lasciando spazio a locali simpatizzanti, “ma altro fattore da considerare è quello delle città stato come Zintan e Misurata, che ragionano più in termini territoriali che etnici”. Proprio in termini di dinamiche locali è da leggere il corteggiamento delle forze della Cirenaica agli ex elementi del regime, fondamentali per chiudere il cerchio su Bengasi e muoversi verso Sirte. Tobruk ha offerto all’ex moglie del rais, Safia Farkash, esiliata in Oman, di tornare a vivere nella sua città natale Bayda (in Cirenaica) insieme ai sui nipoti, offrendole onori e protezione.