Anche se ogni tanto si consolano con le disavventure giudiziarie che colpiscono pure i grillini, diventati i principali avversari ma appena costretti a spalleggiare il pentastellato sindaco di Livorno Filippo Nogarin, indagato con altri per una gestione dei rifiuti da bancarotta, i dirigenti del Partito Democratico sono preoccupati molto più di quanto non ammettano per gli scandali contestati dalla magistratura ai loro amministratori locali.
E’ un bollettino quasi quotidiano di arresti e di comunicazioni giudiziarie quello che si abbatte sulla periferia del Pd in questo periodo particolarmente rischioso sul piano politico, mentre si svolge la campagna elettorale per le amministrative del 5 giugno.
Deve essere forte l’allarme, anzi la paura che si ripeta ai danni del Pd l’offensiva giudiziaria che nel 1992-93 colpì e travolse con Tangentopoli i socialisti e gli altri partiti tradizionali di governo, se il più renziano dei giornalisti, Fabrizio Rondolino, ha sentito il bisogno di dare la sveglia ai suoi compagni sulla testata storica di quello che fu il Pci. “E’ il malaffare, non la magistratura il nemico mortale del Pd”, ha ammonito, pur avendo criticato il comportamento di talune toghe, sospettate di pregiudizio e spettacolarità, visto che di complotto il presidente del Consiglio non vuole che si parli un po’ per scaramanzia, un po’ per opportunità politica, tenendo di alzare troppo il livello dello scontro con i magistrati e di assomigliare a Silvio Berlusconi. Che di complotti giudiziari è convinto di averne subiti anche troppi.
In questa situazione a dir poco drammatica che cosa ha pensato di consigliare il grande saggio, ormai, del giornalismo italiano, che alla sua veneranda età, e con quel collegamento particolare che è riuscito a realizzare con Papa Francesco ne trasmette ai laici tutte le migliori pulsioni anticorruttive? La visione di un film: Le confessioni, di Roberto Andò, con Toni Servillo travestito da monaco e travolto pure lui, con l’accusa di omicidio, da giudici corrotti come gli uomini di potere che gli avevano confidato le loro colpe e debolezze. Un film adatto addirittura a “curarci e guarirci da una natura così perversa e diffusa” qual è quella corruttiva, che caratterizza “la nostra specie in ogni tempo, connessa con la ricerca indefessa del potere”.
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Da par suo, con un intervento straordinario sulla sua Repubblica, anticipato a sabato, rispetto al consueto appuntamento domenicale con i lettori, Scalfari ha vagato da Euripide a Sofocle, da Aristofane a Cicerone, da Ovidio a Viriglio, da Giacomo Leopardi ad Alessandro Manzoni, da Shakespeare a Voltaire, da Dante a Pareto, da Victor Hugo a Stendhal e a Marx, omettendo chissà perché Dostoevskij, per dimostrare con le loro opere “quel male antico chiamato corruzione”. Che è stato poi il titolo felice del suo articolo. Felice ma anche un po’ rassegnato, diciamolo pure. E in quanto rassegnato, in qualche modo sdrammatizzante, e forse sgradito perciò ad una certa magistratura che pensa di avere scoperto da sola la corruzione, e di poterla da sola combattere, visto che la politica non sa o non vuole farlo, passata – come è capitato recentemente di dire al nuovo presidente dell’associazione nazionale di categoria, Piercamillo Davigo – dal furto con vergogna al furto senza più vergogna.
Non si creda però che con questo invito al cinema e con questa storicizzazione del fenomeno endemico della corruzione Scalfari, come qualche malizioso lettore starà già pensando, abbia voluto fornire una posticcia sponda filosofica e letteraria alla svolta, chiamiamola così, garantista della sua Repubblica di carta, passata qualche mese fa dalla direzione del quasi togato Ezio Mauro a quella del più realistico e comprensivo Mario Calabresi. No. Bisogna riconoscere al fondatore del quotidiano il merito di avere assunto già in passato posizioni non sempre o non proprio allineate all’estremismo giudiziario e alle informazioni unilaterali delle Procure. Ne sanno qualcosa a Palermo, i cui inquirenti furono severamente redarguiti da Scalfari nel loro scontro con l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, intercettato nelle indagini sulle presunte trattative fra lo Stato e Cosa Nostra nella stagione delle stragi mafiose.
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Ma ancor prima di Palermo, come lo stesso Scalfari ha rivelato di recente nel salotto televisivo di Lilli Gruber a la 7, vi fu un suo incontro, promosso dall’allora capo della Procura di Milano Francesco Saverio Borrelli, con l’intero pool di Mani pulite. Che fu chiamato dal medesimo Borrelli a “riflettere” sulle critiche, preoccupazioni, osservazioni, chiamatele come volete, dell’ospite sulla troppa facilità con la quale si arrestavano nel biennio del terrore 1992-93 gli indagati per finanziamento illegale della politica e reati che spesso ne conseguivano, o erano addirittura a monte, cioè la corruzione e la concussione.
Vale tuttavia la pena di andare ancora più indietro negli anni, sino al 1979, all’epoca dello scandalo Eni-Petromin, esploso su una maxi-tangente per una grandissima fornitura di petrolio dall’Arabia Saudita, costata poi ingiustamente la presidenza dell’Iri a Giorgio Mazzanti, destinato ad essere successivamente assolto da ogni accusa.
Scalfari fu tra i pochi, col Corriere della Sera allora infiltrato dalla P2, a comprendere realisticamente la pratica tangentizia negli affari internazionali. Lo fece anche a costo di esporsi, a torto o a ragione, al sospetto di Bettino Craxi di voler coprire un finanziamento occulto, sospettato dal segretario socialista proprio all’ombra di quella tangente, alle correnti del Psi e della Dc contrarie all’archiviazione degli accordi di governo con il Pci e alla ripresa dell’alleanza fra socialisti e democristiani.
Il piano temuto dal Craxi tuttavia non riuscì perché all’inizio del 1980 la sinistra socialista si spaccò, col passaggio di Gianni De Michelis da Claudio Signorile al segretario del partito, consentendogli così di completare la svolta autonomista avviata con la partecipazione tecnica ai primi e unici due governi di Francesco Cossiga. Che erano subentrati a quelli di “solidarietà nazionale” guidati da Giulio Andreotti e appoggiati esternamente dai comunisti.