Mario Mori ha arrestato Totò Riina, il capo dei capi. Non l’avesse mai fatto. L’ala estremista della magistratura di Palermo gliel’ha giurata. Da vent’anni subisce processi che vogliono provare una tesi assurda: che un generale dei carabinieri, una vita di perfetto uomo dello Stato, e una parte della vita in lotta con i delinquenti mafiosi, in realtà era macchiata. Prima dal mancato arresto di un capo mafioso: assolto. Poi dall’accusa della mancata perquisizione del covo di questo capo mafioso: assolto.
La persecuzione di questo militare italiano da parte di un gruppo di magistrati, i “custodi dell’antimafia”, è durata 20 anni. Grazie all’onestà e all’indipendenza della magistratura (maggioritaria) non ideologica e politicizzata quest’uomo onesto è stato assolto. Ma non riavrà indietro 20 anni di inferno. E nessuno gli chiederà scusa.
Resta un fatto. Cosa volevano dimostrare i persecutori del generale? Il loro teorema principe: e’ lo Stato il vero mafioso. E i politici che lo dirigono. Lo Stato tratta con i mafiosi, per il tramite dei carabinieri. Che questi ultimi, guidati dal generale inquisito, abbiano arrestato il capo della Mafia e decine di affiliati non ha importanza. Sono dettagli. Per i giudici “custodi dell’ antimafia”- e per i loro amici di partito, Travaglio, Ingroia, Saviano, il sindaco Orlando, i pasdaran di Repubblica (di prima)- non è la Mafia la vera Mafia: è lo Stato.
Si erano perciò immaginato, i meschini ideologi del partito dell’antimafia, di avere finalmente colto lo Stato con le mani in pasta: “Attraverso i carabinieri lo Stato ha trattato con la mafia”. Volevano, in tal modo, dimostrare la tesi di Saviano e Davigo: il Sud è corrotto, lo Stato è corrotto, tutta la politica è corrotta. Altri giudici, espressione della maggioranza, autonoma, indipendente, non politicizzata, dei magistrati, hanno smontato il teorema. E assolto il generale con i suoi carabinieri. Il vero eroe repubblicano è lui che in silenzio ha subito 20 anni di persecuzione. E i veri felloni, traditori della Repubblica, sono i suoi persecutori.
Noi italiani normali, che dobbiamo assistere a questi colpi di coltello alla schiena della nostra convivenza civile, non possiamo fare altro oggi che dire: “Ci scusi generale Mori. E ci perdoni”.