La grande prudenza italiana su un eventuale intervento in Libia fa certamente contenti i servizi segreti e gli investigatori dell’antiterrorismo, che da tempo lasciano trapelare la loro preoccupazione su un aumento del rischio attentati in Italia in caso di un nostro impegno diretto nell’inferno libico, di qualunque tipo. Non c’è dubbio che i report riservati che periodicamente vengono consegnati al governo abbiano influenza sulle scelte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Nello stesso tempo, non è politicamente né strategicamente sostenibile a lungo termine una posizione incerta mentre l’Italia è sempre più al centro di scenari e di iniziative: la proposta italiana del cosiddetto migration compact avanzata all’Ue per favorire investimenti in Africa in cambio di un freno all’immigrazione; l’estate ormai alle porte con il probabile aumento di profughi in arrivo; il possibile avvio della terza fase della missione Eunavfor Med dopo la richiesta del premier libico designato dall’Onu, Mohammad Fayez al Serraj, che ha inviato all’alta rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, una lettera in cui chiede «rapido sostegno dell’Ue nel contribuire all’addestramento di Marina e Guardia costiera libiche, così come dei servizi di sicurezza».
La richiesta di Serraj è stata accolta dal Consiglio dei ministri degli Esteri a Bruxelles che ha deciso il prolungamento di un anno della missione aggiungendo altri due compiti: addestrare la Marina e la Guardia costiera della Libia al contrasto dei trafficanti degli esseri umani e al fenomeno dell’immigrazione irregolare e attuare l’embargo per le armi deciso dall’Onu. La formazione avverrà per il momento al di fuori delle acque nazionali libiche. E’ un passo fondamentale per un cambio di marcia nell’operazione Eunavfor Med, comandata dall’ammiraglio Enrico Credendino e formata da 22 nazioni: presto, infatti, potrebbe partire la cosiddetta Fase 3, con la possibilità di entrare nelle acque territoriali libiche e anche sulle coste per «neutralizzare» (come dicono i militari) le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai trafficanti e dai contrabbandieri. Un’attività, ha sottolineato Mogherini, che consentirebbe «di controllare anche i flussi migratori». Al 15 maggio scorso, le persone salvate dalla Guardia Costiera in mare sono state 31.839, arrivate a bordo di 228 imbarcazioni: la provenienza principale è la Libia, seguita dall’Egitto (rotta, quest’ultima, curiosamente riapertasi dopo le tensioni seguite all’omicidio di Giulio Regeni).
Anche di Libia si parlerà nell’incontro che Renzi avrà il 24 maggio con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che sta incontrando tutti i leader europei in preparazione del vertice Nato in programma a Varsavia l’8 e il 9 luglio. Tre i temi principali dell’incontro: difesa collettiva e rafforzamento della deterrenza a Est (con tutto quello che riguarda il rapporto con la Russia) e a Sud; il ruolo della Nato nel progettare stabilità in Iraq, Libia, Tunisia e Giordania; la cooperazione Ue-Nato, con l’Italia nazione centrale. Certamente la richiesta di al Serraj sarà valutata anche operativamente perché chiedere di addestrare i servizi di sicurezza significa ufficializzare un intervento straniero con personale che deve «aiutare» la polizia e le forze armate, lavoro in cui gli italiani sono maestri.
E’ il caso di ricordare che un anno e mezzo fa la Libia e l’immigrazione non solo erano un problema italiano, ma all’interno del governo erano una gatta da pelare in capo al ministero dell’Interno e a quello della Difesa. Una pura questione di ordine pubblico. Furono inutili i tentativi del ministro Roberta Pinotti al vertice Nato in Galles nel settembre 2014 per convincere gli alleati che il fronte Sud doveva diventare centrale. All’epoca l’unica emergenza di cui volevano occuparsi le altre nazioni era la crisi ucraina, tanto che nel documento conclusivo del vertice la Libia ebbe l’onore di appena 18 righe su 28 pagine. Da allora è successo di tutto: masse di profughi, terrorismo nel cuore dell’Europa, equilibri mediorientali sempre molto fragili. Oggi la Libia pare finalmente un problema comune, pur se le idee su come affrontarlo sono molto diverse. E, tornando alla posizione italiana, non c’è più molto tempo per decidere che cosa fare, all’interno di un accordo-quadro con altre nazioni e anche con la Nato. Inutile ricordare tutte le volte che è stata rivendicata una leadership politica in materia: adesso bisogna decidere.