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Cosa hanno raccontato i deputati dell’Ucraina a Montecitorio

Una delegazione di membri della Verchovna Rada, il parlamento di Kiev, è in visita a Roma per una missione nel quadro delle relazioni bilaterali Italia-Ucraina. A Montecitorio gli ucraini sono stati ricevuti il 25 maggio da Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione Affari esteri e comunitari della Camera, e da Andrea Manciulli, deputato e capo della Delegazione italiana l’Assemblea parlamentare della Nato. Erano inoltre presenti l’ambasciatore ucraino Yevhen Perelygin e diversi esperti di cultura e storia slava.

COOPERAZIONE TRA ASSEMBLEE LEGISLATIVE 

“Prima di venire in Parlamento, abbiamo visitato il ministero dell’Economia”, ha raccontato Hanna Hopko, capo della delegazione. “Là abbiamo discusso dell’entrata in vigore dell’Accordo di libero scambio, che da gennaio ad oggi si è già rivelato importante per incrementare i flussi commerciali tra l’Italia e l’Ucraina”. Inoltre, la deputata ha ringraziato il Parlamento italiano per aver provveduto celermente alla ratifica dell’Accordo di associazione concluso tra Bruxelles e Kiev, e ha ribadito l’importanza di snellire il regime dei visti per la circolazione tra l’Ucraina e lo spazio Schengen. “La cooperazione tra organi legislativi è importante, specialmente per quanto riguarda quelle riforme costituzionali che sono in corso di attuazione nel nostro Paese” ha aggiunto. “A questo proposito, abbiamo inviato numerosi documenti al Parlamento italiano, per avere un confronto e per fornire una testimonianza del nostro sforzo progressista”.

Riguardo alle relazioni con la Russia, Hopko si è detta molto felice per la liberazione della pilota Nadyia Savchenko, salutando l’avvenimento come “un risultato ottenuto grazie agli sforzi diplomatici, non solo di Kiev, ma anche di numerosi altri Paesi, quelli europei in testa”. La deputata ha però evidenziato come rimangano ancora diversi prigionieri politici in Russia, ucraini e non solo. “Inoltre, solo la scorsa notte (martedì, ndr), sette soldati ucraini sono stati uccisi nelle regioni dell’est e altri nove sono stati feriti. Questo significa che le misure per un ‘cessate il fuoco’ previste dagli accordi di Minsk non vengono attuate. E neppure viene consentito alle forze di polizia ucraine o alle missioni dell’Osce di accedere alle zone occupate” ha denunciato.

L’ESEMPIO DELLA POLITICA DI OBAMA 

La presenza di forze armate russe dell’est dell’Ucraina è ampiamente comprovata, anche se Mosca la nega con insistenza. Secondo Federigo Argentieri, professore della John Cabot University, una simile ingerenza contrasta con la generale mitigazione, nel XXI secolo, dei caratteri più brutalmente imperiali della politica estera. “Per esempio, l’amministrazione di Barack Obama ha compreso che Cuba, e in generale l’America Latina, non costituiscono per gli Stati Uniti n un ‘backyard’, un cortile di pertinenza personale”, ha sottolineato l’accademico. “La visita che il Presidente uscente sta effettuando a Hiroshima in queste ore, pur senza porgere scuse ufficiali, è un segnale forte e si colloca dopo le aperture nei confronti di Cuba e del Viet Nam, con l’apparente obiettivo di fare degli Usa, nonostante la loro potenza, un normale attore geopolitico”. Argentieri ha dichiarato che Mosca dovrebbe svolgere una riflessione analoga nel suo rapporto con i suoi vicini più piccoli, normalizzando il proprio ruolo, poiché “il mancato riconoscimento russo dell’Ucraina come entità a sé stante, non solo sotto il profilo statuale, ma anche culturale ed etnico, ha effetti catastrofici”.

D’altro canto, il professore ha riconosciuto come l’atteggiamento assertivo della Russia sia anche legato ad alcuni errori strategici commessi dell’Occidente nell’era post-guerra fredda, primo su tutti l’acquiescenza di fronte alla secessione del Kosovo, che ha violato l’intesa non scritta sulla immutabilità delle frontiere di epoca comunista, tanto in Jugoslavia quanto in Urss. Nonostante alcuni passi falsi, però, la fermezza dell’Occidente nell’opporsi ad atti di aggressione, da qualunque parte essi provengano, non vacilla. Di questo fanno fede le sanzioni contro la Russia, ancora in vigore dopo oltre due anni. Neppure la Grecia, Paese storicamente amico di Mosca e impegnato in una dura rinegoziazione del proprio debito pubblico con Bruxelles e con Berlino, ha mai pensato di defezionare da questo fronte.

Vista questa fermezza, ha spiegato Argentieri, “le forze filorusse ed euroscettiche nel sistema politico italiano devono comprendere che, se mai prevalesse la loro linea, l’Italia si troverebbe in una posizione di assoluto isolamento rispetto agli altri Stati occidentali”. Qui è stato esplicito il riferimento alla mozione del Consiglio regionale del Veneto che ha, recentemente, “riconosciuto” l’annessione russa della Crimea. Un gesto sicuramente inopportuno sotto il profilo politico e probabilmente incostituzionale sotto quello giuridico, dal momento che alle Regioni è riservato, in materia di politica estera, un mero potere di dare attuazione accordi internazionali conclusi dallo Stato e ad atti dell’Unione europea, nonché la facoltà di stipulare intese con altri Paesi, ma solo previa autorizzazione di Palazzo Chigi.

DAL CONFLITTO MILITARE A QUELLO STORIOGRAFICO 

Lo scontro tra Ucraina e Russia non infuria solo sul piano materiale, ma anche su quello storiografico. Vittorio Strada, professore emerito della Ca’ Foscari di Venezia, ha testimoniato come gli studiosi dei due Paesi “combattano” per l’interpretazione del passato, sostenuti nel loro sforzo dalle rispettive dirigenze politiche nazionali. A testimonianza di quanto il rapporto tra Kiev e Mosca sia complesso, Strada ha citato lo storico russo Georgij Petrovič Fedotov, che già nel 1938 scriveva: “Il problema ucraino ha per la Russia un significato profondo, con una dimensione non solo terrena ma anche spirituale. L’intellighenzia russa non comprende i sentimenti separatisti degli Ucraini e sopravvaluta il loro desiderio di stare vicini a Mosca”. Ancora prima, nella Russia zarista, era invece Nikolay Kostomarov a lamentare come l’autorità di San Pietroburgo imponesse una concezione di “unità sociale imposta attraverso il sacrificio della dimensione individuale”, “un vero e proprio dominio della comunità sull’individuo” che era, a suo avviso, incompatibile con il carattere del popolo ucraino.

Il confronto intellettuale si è riacceso persino sulla natura dell’Holodomor, la grande carestia che le autorità sovietiche indussero sul territorio ucraino tra il 1932 e il 1933, causando milioni di morti. “Una tragedia rimasta occultata fino alla perestroika degli anni Ottanta, e che neppure oggi trova sui libri di storia lo spazio che merita”, ha denunciato Ettore Cinnella, professore dell’Università di Pisa. “Nella comunità scientifica è ormai pacifico che si sia trattato di un genocidio sociale, mirato a sradicare quella classe di piccoli agricoltori che avversavano il programma di collettivizzazione: la morte per inedia risparmiò infatti i centri urbani, dove risiedevano gli operai dell’industria e i soldati, il cui sostegno era fondamentale per Mosca. Tuttavia, gli storici russi ancor oggi negano che la persecuzione avesse l’obiettivo di cancellare una nazionalità. Eppure furono colpiti con particolare forza, oltre ai contadini, quei ceti colti che custodivano la memoria storica dell’Ucraina, oltre alla Chiesa ortodossa di Kiev e persino il Partito comunista locale”, ha aggiunto Cinnella, in conclusione.



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