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Dossier Ucraina fra spin di Obama e posizione dell’Europa

Durante un evento organizzato dal Washington Post giovedì, Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca con un ruolo importante nel sistema che coordina la politica estera americana, ha detto che gli Stati Uniti si stanno facendo promotori di un’intesa con la Russia per risolvere la questione ucraina entro la fine dell’anno. Al momento tutto si regge sulla vacillante tregua raggiunta con gli accordi di Minsk, non completamente implementati.

LEGACY OBAMIANA

Porre fine alla guerra nel Paese dell’est europeo, iniziata con l’annessione della Crimea da parte di Mosca e continuata con le battaglie separatiste nel Donbass spinte dai filo-russi, rientra dunque tra le legacy che Barack Obama vuole lasciare sulla politica internazionale (le altre, per esempio: l’accordo sul nucleare iraniano, la riconciliazione con Cuba, la riconquista delle roccaforti dello Stato islamico). La posizione americana potrebbe trovare apertura in Europa, soprattutto tra alcuni Stati, come l’Italia, la Francia, la Germania e il Regno Unito hanno visioni più aperte e morbide sulla questione. Ma la direzione dell’UE, sembra, anche se solo in apparenza e probabilmente in modo temporaneo, sconfessare le volontà del presidente americano. Il Financial Times ha una notizia: un gruppo eterogeneo di funzionari europei racconta al giornale economico inglese che forse già da giugno, al massimo a luglio, l’Unione Europea confermerà per altri sei mesi le sanzioni nei confronti di Mosca.

LE SANZIONI E GLI EUROPEI

Si tratta di provvedimenti (individuali e non) alzati nel 2014, all’inizio delle attività nella penisola crimeana, contro asset economici, finanziari, energetici e militari russi, e poi rinnovati di sei mesi in sei mesi. L’ultimo rollover scadrà il 31 luglio, ma spiega un alto funzionario al FT che è praticamente “già tutto fatto”: il prolungamento sarà deciso a breve, e probabilmente non richiederà uno scenario istituzionalizzato come il prossimo vertice tra leader europei in programma a fine giugno, ma si formalizzerà “in una riunione di ambasciatori”. Potrebbe sembrare un passaggio che mina le volontà di Obama, ma piuttosto è un percorso quasi dovuto. I prossimi appuntamenti UE non mettono in agenda la crisi ucraina: sono concentrati sulla questione immigrazione e sicurezza, e forse del Donbass si finirà per parlare a fine dicembre: dunque serve prendere tempo. Nel frattempo le cancellerie europea si stanno già muovendo, e mentre i paesi Baltici o la Polonia mantengono una linea dura (e chiedono rinforzi militari con la sponda della Nato) sentendo direttamente minacciata la propria sovranità dalle attività sempre più assertive della Russia appena oltre i propri confini, l’Italia mostra segnali di apertura chiedendo una “riflessione politica” sull’impatto delle sanzioni (anche se ci sono studi redatti da Bankitalia che ne considerano gli effetti sull’economia italiana quasi nulli), e il Senato francese ha votato mercoledì in modo schiacciante una risoluzione affinché le sanzioni contro la Russia vengano “gradualmente e parzialmente” sollevate. Anche a Berlino, nonostante la Cancelleria Angela Merkel chieda fermezza, c’è una parte di governo che vuole dialogo (e dunque, poi, il sollevamento delle sanzioni: gli interessi non mancano): come scritto da Andrea Affaticati su Formiche.net è stato lo stesso ministro dell’Economia Sigmar Gabriel, Spd, a dire durante la Giornata russa che “l’esperienza ci insegna che un isolamento protratto non porta a nulla. Alla fine c’è solo una cosa che può aiutare: il dialogo”.

GIOCHI DI SPONDA E UNIONE PRECARIA

Sembra un gioco di sponda, Washington lancia segnali di apertura mentre Bruxelles tiene una posizione più ferma: è la doppia linea di comunicazione, il dialogo non può escludere la fermezza e viceversa, ha spiegato a fine maggio il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. Ma in questo momento, stando alle dinamiche interne in diversi Paesi e quelle intra-Unione, il prolungamento del regime sanzionatorio sembra più una sorta di necessità, che una vera volontà politica. Su questo calcano le dichiarazioni dell’ambasciatore russo all’UE, Vladimir Chizohv, che contatto per un commento dal Financial Times non ha perso l’occasione per lanciare una bordata contro l’Europa: “[L’UE] Deve dimostrare unità almeno su qualcosa” in un momento in cui il referendum sulla Brexit agita le acque e “quando l’unità dei 28 Stati membri diventa un obiettivo in sé, succede sempre a scapito della qualità della posizione comune”. Non discuteremo sulle sanzioni, aggiunge, “è un loro problema”, quando lo risolveranno sanno dove trovarci. In questi giorni, intanto, il governo di Kiev ha formalmente richiesto a Mosca di riaprire la fornitura di gas: l’Ucraina riceva il 92% del suo gas dalla Russia nel 2013, ma questa cifra è stata ridotta al 74% nel 2014,al  37% nel 2015, e a zero finora nel 2016. Su tutto ha pesato la crisi nella regione orientale: l’interruzione era stata una rappresaglia giocata da entrambi i lati. Ora l’aiuto da 17 miliardi di euro fornito dal Fondo monetario internazionale ha permesso a Kiev di risollevare le casse e, complice l’abbassamento dei prezzi di gas e petrolio, di poter comprare nuovamente dai russi. La riapertura delle condotte è sotto questo aspetto un piacere reciproco, Mosca ritrova un ottimo cliente in un momento in cui l’economia non va benissimo, Kiev si mette in traiettoria con Obama.

(Foto: Archivio Cremlino, Vladimir Putin)

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