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Avanti tutta con i Caschi Blu della cultura

Siamo entrati in un tempo che pensavamo di non dover vivere, un’epoca in cui monumenti, manoscritti, reperti e resti archeologici vengono ora individuati e colpiti intenzionalmente, spesso con azioni scenografiche immortalate su video e diffuse in rete, perché rappresentano una cultura, una religione, un’identità diversa. Alla distruzione spesso segue poi il saccheggio, come è avvenuto a Palmira e come sta avvenendo a Mosul con la devastazione dei resti dell’antica Ninive.

Quando si spengono le telecamere tutto ciò che è sopravvissuto alla devastazione viene trafugato e immesso sul mercato clandestino, alimentando un traffico illegale che è stato individuato come una delle maggiori fonti di finanziamento del terrorismo stesso. Dobbiamo affrontare questo tempo con tutti i mezzi, come sta facendo la comunità internazionale, assicurando il massimo impegno nella difesa dei cittadini, delle nostre comunità e nella risoluzione del problema del terrorismo, senza dimenticare tuttavia la tutela del patrimonio culturale nelle aree di crisi. Questo è un dibattito cominciato molto tempo fa in Italia già nel mondo associativo e nella società civile. Il nostro Paese ha ereditato un immenso patrimonio culturale, frutto delle numerose civiltà fiorite nei millenni sul nostro territorio, e ha conosciuto guerre e calamità naturali che ne hanno minacciato la sopravvivenza.

Si pensi all’opera di prevenzione e alle misure di tutela messe in atto durante la Seconda guerra mondiale, che permisero di salvare le collezioni dei musei: esemplari il coraggio, la lungimiranza e la determinazione con cui Palma Bucarelli mise in salvo la collezione della Galleria nazionale d’arte moderna, nascondendola dapprima a Palazzo Farnese a Caprarola e a Castel Sant’Angelo poi. Si pensi al recupero del patrimonio artistico, architettonico e librario colpito dalle alluvioni di Firenze e Venezia del 1966, dai terremoti del Friuli del 1976, della Campania del 1980, dell’Umbria del 1997 e dell’Aquila del 2009. Per questo motivo abbiamo sviluppato esperienze, tecniche e professionalità di altissimo livello. Penso in particolare all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, all’Istituto superiore per la conservazione e il restauro, all’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario. Si tratta di istituzioni riconosciute e apprezzate in tutto il mondo, spesso definite la “Nasa del restauro”, dove si formano e operano tecnici attivi, sia in Italia sia nel mondo, per la tutela del patrimonio culturale. I restauratori di questi istituti sono ben noti e apprezzati a livello internazionale e sono stati, o sono tuttora, attivi in Iraq, Iran, Giordania, Israele, India, Repubblica Popolare Cinese.

Anche nell’attività di contrasto al traffico di beni culturali il nostro Paese vanta un primato. L’Italia è stata la prima nazione a costituire un corpo specializzato nella difesa dei beni storici, artistici e archeologici. Il comando dei Carabinieri Tutela patrimonio culturale ha le sue origini nella costituzione del nucleo Tutela patrimonio artistico, avvenuta il 3 maggio del 1969. Militari preparati, chiamati a combattere la “grande razzia”, come è stata sapientemente definita, che ha sottratto al nostro Paese parti importanti del patrimonio archeologico, artistico, librario e archivistico della nazione. Donne e uomini dell’arma che hanno sviluppato competenze e tecniche d’indagine di altissimo livello, messe a disposizione della comunità internazionale con l’addestramento di diversi corpi di polizia in tutto il mondo e l’impegno in prima linea in Iraq. Tutto questo ha legittimato l’Italia nel prendere la guida di un percorso mirato alla costituzione dei Caschi blu della cultura. La discussione ha preso il via a livello internazionale con la proposta lanciata in un’intervista rilasciata a marzo 2015 a The Guardian di istituire una forza Onu per proteggere i siti patrimonio dell’umanità, una sorta di corpo dei Caschi blu della cultura per difendere i monumenti e le aree archeologiche nelle zone di conflitto.

Il tema è stato al centro del vertice dei ministri della Cultura del 31 luglio e del 1 agosto scorso a Expo, dove le rappresentanze di 83 Paesi hanno sottoscritto la Dichiarazione di Milano con una ferma condanna della violenza contro il patrimonio culturale. La questione è entrata all’ordine del giorno dell’azione dell’Unesco con l’approvazione il 13 novembre scorso di una risoluzione di importanza storica che impegna i singoli Stati a costituire delle task force di intervento nazionale per la tutela del patrimonio e sollecita ad affrontare in sede di nazioni unite il tema di una componente culturale all’interno delle missioni internazionali.

L’Italia ha promosso questa risoluzione, forte del lavoro compiuto negli anni, un’opera che ha permesso di arrivare in tempi brevi a sottoscrivere, all’indomani del voto della Conferenza generale di Parigi, un accordo per costituire a Torino un centro Unesco di secondo livello per la formazione dei Caschi blu della cultura ed essere il primo Paese a mettere concretamente a disposizione della comunità internazionale una task force specializzata nella tutela del patrimonio culturale: 60 donne e uomini tra restauratori, architetti, archeologi, storici dell’arte e Carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale hanno terminato il corso di addestramento e sono pronti ad agire nelle aree di crisi per la difesa del patrimonio culturale. Spero che l’esempio italiano sia presto seguito da molti altri Paesi e che le Nazioni Unite affrontino al più presto la previsione della componente culturale nelle missioni internazionali.

È un dovere morale, perché si sta parlando di un patrimonio che, non a caso, l’Unesco definisce dell’umanità: monumenti, opere, testimonianze dell’intelligenza, della sapienza, del lavoro e della sensibilità di civiltà del passato, che è nostro compito rispettare e far rispettare per preservare il senso stesso della nostra storia. A chi mette in dubbio questa priorità dobbiamo rispondere come rispose il primo ministro britannico Winston Churchill a chi gli proponeva di tagliare le risorse per la cultura al fine di reperire le risorse necessarie a rinforzare il bilancio della difesa per fronteggiare le forze dell’Asse: “Ma allora per che cosa combattiamo?”.



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