A Pier Luigi Bersani l’Italicum, come è noto, non piace neanche un po’. Per questo ha chiesto al M5S l’apertura di un dialogo per modificarlo. Ovviamente, la sua proposta è stata respinta dai pentastellati, con toni tra lo sdegnato e il sarcastico. Questa volta per fortuna non c’è stato lo streaming, e la figuraccia è passata quasi inosservata.
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“Care amiche e cari amici del Movimento 5 Stelle, lo straordinario risultato del voto amministrativo attribuisce al vostro Movimento una grande responsabilità: dare un contributo decisivo alla principale battaglia democratica che aspetta il Paese, cioè il referendum costituzionale […]”. È l’incipit dell’appello lanciato dal consiglio di presidenza di “Libertà e Giustizia” (Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Gustavo Zagrebelsky, Nadia Urbinati e altri) per costruire, nelle piazze e nella rete, “un’opposizione popolare ad una revisione costituzionale divisiva e imposta da un parlamento delegittimato”. E, per affermare le ragioni del No, “il ruolo del Movimento appare cruciale” (l’appello si può leggere su la Repubblica di oggi). Naturalmente, i prodi scudieri della nostra Costituzione fanno finta di non sapere che il M5S è contro il principio del libero mandato (articolo 67 della Carta) e per un sistema di democrazia diretta (contrapposta alla democrazia rappresentativa). Ma che importa? Infatti, per Zagrebelsky e soci “è vitale che il primo partito d’Italia [ormai ne sono certi] sappia guardare all’interesse della Repubblica: mostrando senso di responsabilità, lungimiranza e amore per le istituzioni e il bene comune dei cittadini”. Sono sicuro che, così come hanno fatto con Bersani, Beppe Grillo e Davide Casaleggio non permetteranno neanche ai professori di “Libertà e Giustizia” di essere trattati da utili idioti.
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Massimo D’Alema ha affidato al Corriere della Sera le sue riflessioni sulla disfatta del Pd alle elezioni amministrative, e ha annunciato che voterà No al referendum di ottobre. In un sapido pezzo su Linkiesta di ieri, Francesco Cancellato ricorda che Matteo Renzi non compare per caso sulla scena politica italiana. Al contrario, nasce da vent’anni di sconfitte, di fallimenti, di doppie morali e di machiavellismi di quella classe dirigente di sinistra di cui D’Alema è stato l’esponente forse più di spicco nel ventennio passato. Beninteso si può discutere se la riforma costituzionale voluta dal premier sia giusta o meno, se la politica economica del governo sia o non sia efficace, se il consenso del Pd, comunque più alto di quello intercettato da D’Alema e dai suoi compagni quando erano ai vertici del Pci-Pds-Ds, sia destinato a un inesorabile logoramento. Tuttavia, era lecito attendersi giudizi più sobri da chi definisce un errore la riforma del Titolo V della Costituzione, nonostante sia stato il suo dicastero prima e quello di Giuliano Amato poi a promuoverla. Da chi, inoltre, ha sostenuto la necessità del monocameralismo e di una legge elettorale a doppio turno (programma del Pds, 1994). Da chi, infine, nella fallimentare stagione della Bicamerale che ha avuto l’onore di presiedere (1997), si è speso a favore di un modello semi-presidenziale di tipo francese. Come sottolinea Cancellato, nell’intervista al Corriere c’è poi un passaggio illuminante, che ti fa capire come stanno davvero le cose. È quello in cui D’Alema ricorda a Renzi che Tony Blair ebbe l’intelligenza di nominare cancelliere dello scacchiere il suo principale avversario, Gordon Brown. Il pensiero corre allora ai tempi in cui a D’Alema fu preferita per ben due volte Federica Mogherini, prima come ministro degli Esteri, poi come Lady Pesc. Sì, lo so: sono una persona cattiva.