Strano tipo D’Alema: è talmente sfiduciato sul futuro del Pd che non smette di fare progetti sul suo passato.
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Citazione dedicata a tutti quelli che… il Corano non c’entra:
“Diciamo di rispettare la religione di questa o di quella persona; tuttavia il modo per rispettarla veramente è considerarla proprio una religione: conoscere i suoi principi e le loro conseguenze. Ma la tolleranza moderna è più indifferente dell’intolleranza. Almeno le vecchie autorità religiose definivano chiaramente un’eresia prima di condannarla e leggevano un libro prima di bruciarlo. Invece noi continuiamo a dire […] a un mussulmano: ‘Per me non conta la tua religione, fatti abbracciare’. Al che egli ovviamente risponde: ‘Per me invece conta e ti consiglio di fare attenzione’ ” (G. K. Chesterton, “La serietà non è una virtù“, Lindau, 2011).
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Soprattutto dopo le recenti esternazioni di D’Alema, un dato mi pare ormai assodato: il minimo comun denominatore della minoranza Pd è costituito in buona misura dal risentimento personale nutrito nei confronti di Matteo Renzi, sempre più considerato come un alieno atterrato a Largo del Nazareno per ridurre in schiavitù i terrestri postcomunisti e postdemocristiani. Ma facciamo pure finta che la battaglia dei difensori della “vecchia ditta” abbia un suo ubi consistam politico. In fondo, insieme alla renziana vocazione maggioritaria in un sistema tendenzialmente bipartitico, resta in campo la tradizione ulivista delle larghe coalizioni e del Parlamento “specchio reale del Paese”. Come ho già avuto modo di osservare su questa rubrica, invece di aprire un confronto alla luce del sole sulle due alternative strategiche, Pier Luigi Bersani e soci si sono persi in risibili guerricciole sul tasso di preferenze e di nominati dell’Italicum (con tardivi e ipocriti rimpianti per il Mattarellum e anche per il doppio turno di collegio). Alla Direzione dei democratici di lunedì prossimo ci verrà propinata ancora una volta la pièce sulle “infamie” dell’Italicum? Spero proprio di no. L’augurio è che si possa discutere di cose più serie: la crisi dell’Ue, la riduzione delle tasse, la condizione drammatica delle periferie urbane, una riforma della pubblica amministrazione per ora finta e una riforma della giustizia che resta solo un pio desiderio. Al di là del meccanismo di voto, tuttavia, anche chi rifiuta l’idea del Partito della Nazione dovrebbe rendersi conto che il Pd è oggi obbligato a slittare verso il centro, ovvero che il suo futuro di forza riformista e di governo è legato alla capacità di rappresentare gli elettori intermedi (area socialmente composita, che comprende anche quei ceti popolari che scelgono da che parte stare in base non alle ideologie, ma alle concrete offerte del mercato politico). È esattamente lo scoglio su cui si sono infranti i sogni di gloria di Romano Prodi, e su cui lo stesso progetto di Matteo Renzi rischia di naufragare. Nel frattempo, Sel e i transfughi del Pd pensano a rinverdire i fasti di quel rassemblement di soggetti anticapitalistici denominato “Cosa rossa”. Qualcuno se la ricorda? La sinistra italiana si sta ancora leccando le ferite di quella disastrosa stagione.