D’accordo, si può anche liquidare come la sua solita jattanza l’affermazione di ieri del premier Matteo Renzi (“I correntisti e i risparmiatori sono totalmente al sicuro”) riferita indirettamente al dossier Mps; medesime rassicurazioni si udirono anche giorni prima della risoluzione (che ha intaccato eccome gli obbligazionisti subordinati) di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Chieti e Cassa di risparmio di Ferrara.
E si può pure relegare alla categoria della consueta attitudine a spostare l’attenzione sulle magagne altrui l’altra affermazione bancaria di ieri del presidente del Consiglio: “Chi conosce la realtà sa che la vera questione sulla finanza in Europa non sono i non performing loan italiani, ma i derivati di altre banche”.
Ma al di là delle simpatie o delle antipatie verso il primo ministro, si può stare ai fatti. Fatti peraltro ricordati con un certo ardore, inusuale nell’ambiente, dall’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina: “Se andiamo a esplorare i derivati posseduti da banche tedesche e francesi scopriremo che i totali dell’attivo sono un multiplo del Pil dei loro paesi”, ha detto Messina nei giorni scorsi al Sole 24 Ore.
A destare allarme in Europa in particolare, come ha ricordato pochi giorni fa anche il Fondo monetario internazionale, è il colosso Deutsche Bank, che a fine 2015 si ritrovava in pancia circa 42 mila miliardi di derivati lordi, circa 15 volte il Pil tedesco.
Il gruppo bancario tedesco, comunque, non ha un caso isolato. Secondo le stime di Berenberg, se si guarda all’incidenza sul capitale, e quindi a una misura della capacità di assorbire eventuali perdite da svalutazione, si nota che Credit Suisse mostrava una quota di attivi di livello 3 pari al 133% del capitale core. Nel caso di Barclays, il dato toccava circa il 50 per cento. Ha commentato giorni fa Luca Davi del Sole 24 Ore: “Giusto per fare un confronto, e capire come l’Italia su questo fronte sia (nel bene e nel male) lontana anni luce dagli eccessi della finanza derivata, basti pensare che nel caso delle principali banche italiane questi titoli valevano in media il 15% del core capital”.
Una domanda allora sorge spontanea: ma perché la Vigilanza europea si concentra (o si accanisce) contro i crediti difficili e non ricorre alle stesse attenzioni sui derivati che in misura percentualmente superiore abbondano nelle banche francesi e tedesche? Una domanda non propriamente grossolana e populistica, a sentire alcuni esperti del ramo e addetti ai lavori che preferiscono l’anonimato perché lavorano in banche e istituzioni finanziarie.
Sul trattamento dei crediti inesigibili ci sono norme e regole che consentono più facilmente di scandagliare i conti degli istituti di credito. Oltre ad esserci, dunque, una consuetudine più frequente – proprio per i motivi suddetti – da parte delle vigilanze bancarie, nazionali ed europea.
Il risultato è che i vigilanti si focalizzano sull’esercizio del credito rispetto alle operazioni meramente finanziarie. Ma così facendo ci si concentra e si va a fondo in quelle banche, come le italiane, che fanno più credito e meno giochetti con i derivati, come avviene nelle banche francesi e tedesche.
Non solo, dice un addetto ai lavori che fa la spola tra Milano, Berlino e Francoforte: “In Germania i trattamenti contabili sui crediti sono più laschi rispetto a quelli italiani, infatti non c’è ancora una uniformità né normativa né regolamentare a livello europeo”.
Ma perché non si riesce a incidere e a controllare più e meglio le banche europee che hanno manovrato in derivati? Alcuni analisti rimarcano da un lato la necessità di alleggerire il fardello di derivati che pesa sui bilanci di questi istituti e dall’altro la difficoltà di vendere questi prodotti: i titoli derivati Otc sono titoli illiquidi perché valutati con criteri discrezionali. “L’opacità che caratterizza questi strumenti – ha scritto il Sole 24 ore – è legata ai criteri di misurazione del loro fair value”. Fair value, ha spiegato Prometeia, “determinato mediante modelli che utilizzano parametri non direttamente osservabili sul mercato e che quindi comportano stime e assunzioni”.
Conclusione brutale ma non troppo: le banche che fanno più prestiti a famiglie e imprese (come le italiane, rispetto a quelle francesi e tedesche) sono nell’occhio del ciclone perché con la recessione i crediti incagliati aumentano, le banche che hanno giochicchiato con l’alta finanza e i derivati sono al riparo da tempeste, da richieste pressanti della Vigilanza bancaria e da articoletti dei giornaloni finanziari internazionali che godono a sparacchiare sull’Italia.