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Non si può uccidere in nome di Dio

Ormai siamo in guerra. La parola spaventa, ma credo non sia più possibile dubitarne. Siamo dentro una guerra strana, amorfa, unilaterale e difficile da decifrare, ma guerra è, e tale resta comunque. Quando si compiono attentati su civili, ripetuti e continui, contro un’intera civiltà, quando lo si fa a danno di civili inermi in nome dell’odio puro e semplice, siamo nella logica amico/nemico: quindi si fa la guerra. Punto. Dopodiché le finalità e le giustificazioni, politiche, economiche o religiose, sono un altro paio di maniche.

Quello che atterrisce, oltre la vulnerabilità dell’Europa democratica, è il fatto che quella che un tempo era la patria ambita del benessere e della prosperità per il mondo intero, l’Occidente appunto, oggi sia diventata lo spauracchio dell’odio, il simbolo di ciò che va massacrato, insieme al disprezzo della disillusione subita e al desiderio incontenibile di eliminare dalla terra ogni speranza rimasta in vita.

L’attentatore solitario di Nizza era un francese, secondo l’anagrafe, ma non era un cittadino di Francia: non era europeo, non era occidentale. Nessuno infatti può definirsi tale se uccide più di 80 connazionali, inclusi bambini, senza altra motivazione se non quella di volerli morti per strada, e per di più in nome di Dio. Quest’ultimo aspetto religioso, in fondo marginale, nell’efferatezza del male compiuto, è tuttavia essenziale per comprendere la matrice fondamentalista dell’azione xenofoba che è stata consumata contro di noi. Non si può uccidere in nome di Dio. E non lo si può fare perché nell’Islam, tanto quanto nel Cristianesimo e nell’Ebraismo, il Dio chiamato in causa è creatore del cielo e della terra, e, sopra a tutto il resto, è creatore buono del genere umano. Chi distrugge arbitrariamente la vita non fa mai l’interesse, e quindi non può  minimamente vantare di farlo, di chi la vita la crea e la conserva da sempre, nel tempo e per l’eternità.

Anche a prescindere da questa generale considerazione teologica, un punto oscuro resta celato nella matrice islamica di questo crimine. Perché il terrorismo fondamentalista è, ciò nondimeno, di matrice islamica? Perché l’ISIS e le sue propagini islamiste eterodosse producono tale follia suicida e bestiale senza ricevere anatemi? La risposta sta non nell’Islam, non nel Corano, ma nella mentalità di una parte malauguratamente ancora troppo consistente di musulmani.

Se un cristiano compisse un atto del genere immediatamente il Papa o un vescovo o un pastore interverrebbero per dichiararlo non Cristiano, e nessun credente vorrebbe spartire con lui il titolo della propria fede: insomma, fai quello che vuoi ma non in nome del mio Dio. Il popolo ebraico addirittura è noto alla storia per aver subito olocausti, non per averli praticarli: comunque mai in nome di Dio.

Perché invece un pazzo può chiamare in causa Allah trucidando innocenti cittadini senza che si scateni il putiferio tra i devoti sciiti, tra gli emiri e gli imam sunniti? La risposta sta nella concezione della legge divina che è interpretata da molte autorità islamiche in modo politico, perfino tra coloro che ne danno una declinazione non violenta e autenticamente soprannaturale. Laddove tutto deriva da Dio, quando non c’è più nulla di umano che si aggiunga al potere divino e arbitrario di chi ne interpreta la volontà, ecco che non resta più nulla di autenticamente divino e umano, neanche il nome di Dio, che riesca a tradursi in condanna assoluta di un fanatismo disperato e squilibrato come il terrorismo jihadista.

Questa violenza è troppo indegna e disumana per essere divina. Questo fondamentalismo puzza di atrocità ed è troppo sporco di sangue per avere una compatibilità religiosa. Che l’Islam lo dica, diamine! Altrimenti apparirà sempre più scandalosa la mancanza di una violenta reazione a questa vergogna che insudicia la storia di una grande e lunga tradizione culturale.

Il Papa rimprovera i cristiani di non essere sufficientemente accoglienti. E sebbene si sappia che chiudersi al diverso sia purtroppo molto umano, le parole del Santo Padre spingono a maggiore bontà, al superamento dell’egoismo insito naturalmente in ognuno di noi: perciò sono esortazioni religiose, divine, che motivano i fedeli a superarsi in meglio. Comportarsi da animali invece è al disotto dell’umano: è semplicemente bestiale. E certo non è religioso non sentirsi offesi, non gridare contro questi nemici dello spirito, da parte di chi islamico lo è veramente o, in ogni caso, dice di esserlo.

Lo scontro di civiltà c’è ed è gigantesco, e sta tutto qui. È tanto reale, in definitiva, quanto sa esserlo questa guerra in atto. Non un conflitto tra fedi, ma una contrapposizione netta e funesta tra una religiosità vera e umana, che si traduce in amore per la felicità e la libertà di tutti, e un odio che di apostolico ha unicamente l’omertà e l’indifferenza di chi tollera gli eccidi per giustificare, magari silenziosamente, un falso ideologico.


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