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Ringalluzzito dall’accordo apparentemente raggiunto con la Lega, salvo smentite del giorno dopo, Berlusconi evidenzia in maniera plastica la sua problematica frequentazione con la democrazia interna dei partiti, in particolare del suo, e con l’architettura costituzionale, senza contare gli equilibrismi del suo essere candidato-premier-anzi-no, in ossequio al più classico dei penultimatum leghisti.

E quindi da un lato ci spiega che sarà l’ufficio di presidenza del Pdl a scegliere il simbolo, solo che lui lo ha già scelto e ci dice anche quale. Ci fa sapere che lui non sarà candidato premier, ma il suddetto simbolo riporterà la dicitura “Berlusconi presidente” (si presume, a questo punto, del Milan…). Infine, ci illumina sul fatto che in caso di vittoria lui stesso indicherà il candidato premier (che in caso di vittoria dovrebbe essere ben più che candidato, più che altro incaricato) che poi il Presidente della Repubblica dovrebbe scegliere, apparentemente senza alcun margine di libertà.

Insomma, è tutto un enunciare scelte di altri che in realtà sono tutte scelte già fatte da lui. Alla faccia di Napolitano, della Lega, del Popolo, della libertà e di una nobile parola il cui significato sembra venir ridotto a “mera ratifica”.


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