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Cesa, Schifani e i subbugli centristi su Renzi e referendum

Renato Schifani

Renato Schifani si dimette da capogruppo dei senatori di quelli che sono o furono, rispettivamente, i partiti di Angelino Alfano e di Pier Ferdinando Casini. A poche centinaia di metri di distanza il segretario dell’Udc in cui lo stesso Casini non si riconosce più, Lorenzo Cesa, si schiera contro la riforma costituzionale di Matteo Renzi fra gli applausi del vecchio Ciriaco De Mita, scomodatosi dalla sua Nusco per godersi lo spettacolo. Una rappresentazione più plastica della crisi dei centristi non si potrebbe avere.

Schifani, cui pure non manca una certa esperienza politica per essere stato, fra l’altro, presidente del Senato, ha contestato al ministro dell’Interno Angelino Alfano il progetto di un’alleanza ormai organica col Pd di Matteo Renzi. Egli preferisce evidentemente prepararsi alle prossime elezioni politiche, ordinarie o anticipate che potranno rivelarsi, tornando con Silvio Berlusconi. Che non a caso, convalescente dopo l’intervento al cuore, lo ha ricevuto in pompa magna nei giorni scorsi.

Ma il guaio è che neppure Berlusconi è umanamente e politicamente in grado di sapere e dire che tipo di centrodestra potrà mai ricomporre con una Lega e una Destra come quelle guidate da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni. E senza ancora sapere se e come potrà essere cambiata la nuova legge elettorale della Camera, con la quale gli elettori degli stessi Salvini e Meloni, ma anche gli intimi di Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, preferiscono votare per i grillini, se toccasse a questi ultimi di contendere la vittoria nel ballottaggio al Pd. Le prove d’orchestra sono state appena fatte a Roma e a Torino.

Il prezzo che Schifani e gli amici pronti a seguirlo sono pronti a pagare a Berlusconi per il ritorno in una casa senza confini e fisionomia sembra essere la partecipazione alla campagna referendaria del no alla riforma costituzionale. Un no, “intelligente” come raccomanda Gianni Letta o stupido come potrebbe rischiare di rivelarsi, che non è tanto alla riforma, peraltro votata in Parlamento sino alla fine da Schifani, diversamente dal partito berlusconiano, quanto a Renzi, nella speranza di rovesciarlo e di aprire la strada ad un governo di più larga maggioranza e di scopo: quello di approvare chissà quale nuova legge elettorale.

E’ lo stesso prezzo che ha pagato Cesa, mandando in brodo di giuggiole, oltre a De Mita, l’infaticabile Massimo D’Alema.

Tutto questo avviene mentre in Europa, in Medio Oriente, nella Turchia di Erdogan, in Africa, negli Stati Uniti d’America, accade di tutto e di più. Neppure Mao godrebbe di tanta confusione sotto il cielo. Ne godono ora i moderati e centristi di casa nostra.


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