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Fondo Atlante, cosa faranno le Casse previdenziali

Pier Carlo Padoan

L’ADEPP (l’associazione delle Casse assistenziali e previdenziali dei liberi professionisti in regime di privatizzazione) ha deciso – aderendo ad una richiesta della Presidenza del Consiglio – di entrare con 500 milioni di euro nel Fondo Atlante, incaricato della cartolarizzazione dei crediti in sofferenza del sistema bancario. Sicuramente avranno avuto delle promesse da loro ritenute convenienti, perché l’investimento è a rischio. Probabilmente sperano in una riduzione delle imposte sui rendimenti (ora al 26%), sempreché il Governo sia in grado di trovare la necessaria copertura. L’iniziativa, però, è parecchio discutibile: quelle risorse sono accantonate per pagare le pensioni dei liberi professionisti. Distribuire 500 milioni tra una ventina di Casse sarà pure un’operazione sostenibile. Ma è consentito a chi gestisce dei contributi obbligatori ed eroga dei trattamenti anch’essi obbligatori usare quelle disponibilità per altri fini?

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Il fior fiore degli editorialisti continua a criticare le c.d. élite, accusandole di non prendere sul serio i c.d. populismi e le loro istanze, spesso rivelatrici di problemi reali. In questa critica c’è del vero, perché è sbagliato sottovalutare processi politici e sociali che si stanno diffondendo, come un’odiosa pestilenza, non più solo in Europa, ma anche Oltreoceano. La questione dell’atteggiamento verso il problema dell’immigrazione sarebbe la cartina di tornasole (come si diceva una volta) dell’errore che commettono le élite con la loro tolleranza.

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Si sostiene che sulla presenza di stranieri nel nostro territorio vi sia, rispetto al complesso della popolazione, una percezione (25%) di gran lunga superiore alla realtà (8% circa). E’ snobismo allora ricordare quali sono i dati veri? E magari precisare – sulla base delle statistiche dell’INPS – che quanto si incassa dai lavoratori stranieri è un ammontare più elevato di quanto si spende per loro e le loro famiglie?

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I miei interlocutori, a questo punto, possono replicare che quelli che vivono nelle periferie fanno i conti con la loro realtà. Addirittura potrebbero ricordare, a me bolognese, che lo storico quartiere della Bolognina (dove il Pci decise di cambiare nome) oggi è diventato una Chinatown e che, di conseguenza, hanno perso di valore gli immobili dei residenti italiani. E’ vero. Ma è ben più degradata la zona vicina a Piazza Verdi, nel cuore della cittadella universitaria.

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