La situazione istituzionale libica è confusa. Tale resterà ancora a lungo. Fayez al-Serraj non è a capo del governo di unità nazionale previsto dagli accordi di Skhirat, in Marocco, del dicembre 2015. Quello che presiede a Tripoli è più propriamente chiamato “governo nazionale dell’accordo (GNA)”. Non è stato riconosciuto dalla “Camera dei Rappresentanti” dalla di Tobruk, malgrado le insistenze dell’ambasciatore Kobler, inviato speciale del Segretario Generale dell’ONU.
Di fatto, il governo di Tobruk è ostaggio dell’ambizioso generale Khalifa Haftar, che comanda milizie autoproclamatesi “esercito nazionale libico”. Ne fanno parte molti ex-ufficiali di Gheddafi. E’ appoggiato dall’Egitto, dagli Emirati, dalla Russia e dalla Francia. Parigi, al solito disinvoltamente, ha riconosciuto Serraj, ma al tempo stesso, appoggia Haftar e le sue forze anti-islamiche. Forse vuole mantenere i piedi in due staffe, in attesa di allearsi con il vincitore. Oppure mira a una soluzione federale, cioè all’autonomia della Cirenaica, con le sue ricchezze petrolifere, e all’alleanza con l’Egitto.
Hafter vuole divenire ministro della difesa e comandante delle forze armate libiche. Controlla la Cirenaica, anche se attive nella regione sono tuttora vari gruppi islamisti non associati all’ISIS, ma ad al-Qaeda. Esse fanno numerosi attentati contro le forze di quella che Haftar ha chiamato Operazione Dignità. Il generale è odiato dai sostenitori di Serraj, soprattutto dalle potenti milizie di Misurata, nerbo delle forze di Serraj. E’ probabile che, appoggiate dai bombardamenti USA, esse conquistino Sirte in pochi giorni, eliminando le poche centinaia di miliziani dell’ISIS che vi sono asseragliati.
L’intervento americano a sostegno delle forze di Serraj che da mesi cercano di conquistare Sirte, segna una nuova fase della guerra nel frammentato ginepraio libico. Il territorio è controllato da centinaia di milizie tribali e locali, che si contendono potere e ricchezza, quest’ultima prodotta ormai soprattutto dai traffici illeciti, dagli immigranti alla droga, alle armi. La forza del GNA dipende non solo dall’appoggio di gran parte dell’Occidente, ma dal sostegno della Banca Centrale e della Compagnia Nazionale del Petrolio, peraltro divisa fra Tobruk e Tripoli. Esse distribuiscono soldi a tutti, ma ormai hanno ormai troppi pochi fondi per soddisfare gli appetiti delle varie realtà libiche.
La stabilità del Paese potrà essere conseguita solo se riprenderà la produzione di petrolio: era di 1,6 milioni di barili nel 2010; è crollata oggi a 200-300.000 barili; Serraj ha affermato di poterla portare in tempi rapidi a 900.000 barili, malgrado i danni subiti dalle installazioni specie nella “mezzaluna del petrolio” a est di Sirte (Ras Lanuf, Sidra, ecc.).
(prima parte di un’analisi più ampia. La seconda parte sarà pubblicata domani)