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Come piange la Norvegia con i prezzi del petrolio ai minimi

Se il prezzo del petrolio è depresso, e probabilmente calerà ancora, che cosa succede al più grande produttore dell’Europa occidentale? In Norvegia, nel primo semestre 2016, i giacimenti di proprietà dello Stato hanno dato un contributo del 29% inferiore alle entrate pubbliche derivanti da petrolio e gas rispetto a un anno fa, come indicato da Petoro, l’azienda che gestisce le numerose partecipazioni del governo di Olso nelle attività del settore. Le minori entrate derivanti dal petrolio per le casse pubbliche potrebbero implicare ancora una volta la necessità per lo Stato di attingere al suo fondo sovrano, il cosiddetto Oil Fund (che vale 876 miliardi di dollari), per coprire le spese, mentre Petoro invita le società petrolifere a puntare tutto su efficienza e tecnologie.

QUANTI SOLDI PERDE LA NORVEGIA

Petoro, che possiede più di un quarto dell’output di petrolio della Norvegia e trasferisce la maggior parte dei suoi ricavi al governo, ha trasferito 38,74 miliardi di corone norvegesi (4,58 miliardi di dollari) allo Stato nei primi sei mesi del 2016, contro 54,94 miliardi di corone nei primi sei mesi del 2015, perché il calo dei prezzi ha annullato gli effetti di un incremento di output del 4% (a 1,08 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno).

Il governo norvegese è stato pagato in media 38,9 dollari a barile per il suo petrolio nel primo semestre, il 34% in meno anno su anno, mentre il prezzo che ha ricevuto per il gas naturale norvegese è sceso del 27% a 1,62 corone per metro cubico. Le entrate dirette dai giacimenti di petrolio e gas gestiti dallo Stato tramite Petoro sono scese al livello più basso da 13 anni nel secondo trimestre 2016, secondo Bloomberg.

SI ATTINGE AL FONDO SOVRANO

Questo vuol dire che la Norvegia non ha molte entrate extra dal petrolio da mettere nel suo fondo sovrano (Government Pension Fund o anche Oil Fund) quest’anno. Istituito nel 1996, il fondo è considerato il più ricco del mondo: Oslo ci mette i proventi dell’attività petrolifera e re-investe in vari settori (è quindi uno dei maggiori investitori mondiali, come lo sono gli analoghi fondi dei produttori arabi).

Dal 1996 il governo ha messo nell’Oil Fund 200 miliardi di corone, riporta il Wall Street Journal; il fondo è fatto per durare “per sempre” perché il governo non può spendere più del 4% del suo valore ogni anno, pari al rendimento medio atteso sul lungo termine.

Nel 2008, lo Stato norvegese ha trasferito all’Oil Fund la cifra record di 384 miliardi di corone, ma l’anno scorso ci ha potuto mettere solo 42 miliardi di corone. Quest’anno potrebbe non trasferirci nulla, anzi, forse dovrà prelevare 80 miliardi di corone, ha calcolato la Banca centrale norvegese. Già a gennaio, per la prima volta nella storia dell’Oil Fund, il ministro delle Finanze norvegese ha detto di aver prelevato dal fondo 6,7 miliardi di corone (circa 780 milioni di dollari).

PIU’ EFFICIENZA E TECNOLOGIE

Che cosa accadrà nei prossimi mesi? Le aziende petrolifere della Norvegia dovranno essere in grado di produrre petrolio e gas a costi ancora inferiori per poter competere con i produttori esteri, ha detto la chief executive officer di Petoro Grethe K. Moen: “C’è un serio problema di costi e efficienza sulla piattaforma continentale norvegese. Se non riusciremo a fare i necessari miglioramenti, la produzione dai giacimenti esistenti dovrà essere interrotta prima di quanto vorremmo e i nuovi progetti non saranno profittevoli”.

I dati che arrivano dal settore offshore britannico più maturo mostrano che solo il 10-15% degli incrementi di efficienza raggiunti negli ultimi due anni sono duraturi; il resto è frutto di progetti rimandati o cancellati o di tagli all’output sui pozzi esistenti. Anche la Norvegia rischia risultati altrettanto deludenti, avverte la Moen: “L’efficienza di lungo termine non si ottiene fermando o ritardando i progetti; occorrono grandi trasformazioni strutturali, una ristrutturazione che si ottiene con forme innovative di collaborazione e adozione di nuove soluzioni e nuova tecnologia”. La Norvegia è un colosso del petrolio e continuerà ad esserlo, garantisce la numero uno di Petoro, ma la sua industria del petrolio deve diventare competitiva e sostenibile.

MENO INVESTIMENTI, PIU’ OUTPUT

I gruppi petroliferi norvegesi, tra cui il colosso statale Statoil che gestisce circa il 70% dei giacimenti nazionali, hanno già cercato di accrescere l’efficienza per contrastare il crollo dei prezzi. Hanno però tagliato anche gli investimenti e continueranno a farlo, anche se nel 2017 la flessione sarà circa la metà (-7,6% rispetto al 2016) rispetto a quest’anno (-14,8% rispetto al 2015).

Le aziende pompano anche a pieno ritmo: l’output di greggio norvegese ha superato le previsioni del Norwegian Petroleum Directorate ogni mese da luglio 2014 a oggi, mentre quello di gas è stato inferiore alle attese solo per tre mesi in questi due anni. Nei primi sei mesi del 2016 la Norvegia ha prodotto il 2,8% di petrolio in più del previsto e, se il resto dell’anno si procederà con questo passo, l’output salirà a 91,5 milioni di metri cubi contro i 90,8 milioni nel 2015, calcola Bloomberg. La produzione di gas è stata superiore del 12% alle previsioni quest’anno: a questi ritmi supererà il record dell’anno scorso di 117,2 miliardi di metri cubi.

Per il governo norvegese si tratta di un ottimo palliativo, ma la Ceo di Petoro ribadisce che non si può curare la situazione attuale solo con i risparmi, anche perché si rischia di danneggiare i fornitori delle aziende petrolifere, già in difficoltà perché hanno dovuto abbassare i prezzi di servizi e attrezzature. “La Norvegia ha bisogno di una supply chain sostenibile con fornitori che danno prodotti efficienti e sviluppano quelle nuove tecnologie che ci permettono di fare il salto in avanti”.

NUOVI MERGER IN ARRIVO?

A giugno in Norvegia Det Norske e la divisione locale di BP hanno fuso le loro attività creando la maggiore azienda indipendente dell’esplorazione e produzione offshore nel paese col nome di Aker BP. Si è trattato di un’operazione che mira proprio a quel taglio dei costi e raggiungimento di maggiori efficienze e potenziale di crescita invocati dalla Ceo di Petoro. Anzila Moen dice che non sarebbe così strano con le attuali condizioni depresse di mercato vedere altre transazioni in Norvegia, ma sottolinea che sarà importante mantenere nel paese una “varietà di aziende capaci di attuare progetti”.

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