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Paul Manafort e i subbugli repubblicani di Donald Trump

Due giorni dopo il rimpasto del proprio team deciso da Donald Trump, il presidente della campagna del magnate, Paul Manafort, uscito “ridimensionato” dall’operazione, ha rassegnato le dimissioni, che sono state accettate. Manafort, nel ciclone delle polemiche per i legami con il partito filo-russo in Ucraina, paga soprattutto l’andamento negativo delle ultime settimane: dopo le convention, Trump nei sondaggi ha ceduto molti punti alla sua rivale Hillary Clinton.

“Questa mattina Paul Manafort ha rassegnato le sua dimissioni dalla campagna e io le ho accettate”, recita una nota di Trump diffusa ieri. “Gli sono molto riconoscente per il grande lavoro che ha fatto per portarci dove siamo oggi e soprattutto per averci guidati durante il processo delle primarie e della convention – aggiunge Trump – . Paul è un vero professionista, gli auguro un grande successo”.

Parlando alla Fox, Eric Trump, figlio minore del candidato repubblicano, ha spiegato: “Credo che mio padre non volesse essere distratto dalle questioni con cui Paul è alle prese”. Di Manafort, si dice che abbia gestito e ricevuto parecchi milioni per consulenze al partito dell’ex presidente ucraino filo-russo Yanucovich e che potrebbe aver violato la legge federale che impone ai lobbisti di segnalare al Dipartimento di Giustizia se rappresentano entità straniere.

Anche Eric è stato prodigo di elogi per il presidente uscente della campagna Trump: “Paul era incredibile: ci ha aiutati nelle primarie e alla convention ha fatto un grande lavoro coi delegati”. Nelle parole del magnate e del figlio, c’è quasi un’eco di timore che Manafort possa ora rivalersi svelando altarini o retroscena della campagna repubblicana. Corey Lewandowski, il manager che Manafort aveva sostituito all’inizio dell’anno, è diventato commentatore televisivo per la Cnn.

Eric Trump ha però dichiarato pure fiducia nella nuova squadra: “Sono assolutamente fantastici e sono sicuro che ci porteranno diritti all’8 novembre, garantendoci alla fine la vittoria”.

La scelta come capo dell’apparato di Stephen Bannon, presidente esecutivo della Breibart News, media amico, e la promozione di Kellyanne Conway da sondaggista a manager dovrebbe coincidere con una riscossa della campagna, che avrebbe già pareggiato i conti con quella della Clinton almeno per quanto riguarda gli attacchi degli hacker. Secondo fonti di stampa, infatti, ci sarebbero state incursioni, di cui s’ignorano gli autori, negli apparati informatici del candidato e del partito repubblicani.

Gli episodi, la cui portata non è nota e che risalirebbero a tempo fa, alcune addirittura al 2015, evocano le infiltrazioni di pirati nei computer del comitato nazionale democratico, per la raccolta fondi elettorale e della campagna di Hillary, attribuiti a non meglio precisati hacker russi e sfociati nella pubblicazione da parte di Wikileaks di decine di migliaia di mail, da cui risulta l’impegno dell’establishment democratico a favore di Hillary e contro Bernie Sanders durante le primarie.

Donald Trump ieri è andato a Baton Rouge, in Louisiana, per visitare gli alluvionati di quello Stato, dove ci sono stati 13 morti e dove almeno 40mila abitazioni sono state distrutte o danneggiate. Trump, che era con il suo vice Mike Pence, è stato polemico con il presidente Obama, che è restato in vacanza sull’isola di Martha Vineyard e che si recherà in Louisiana solo la prossima settimana: “Io sono qui, mentre lui gioca a golf”, ha detto, davanti alle devastazioni provocate dall’uragano più violento che abbia colpito la Louisiana dopo Katrina che nel 2005 s’abbatté su New Orleans.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)



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