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Teheran e Mosca, un’alleanza a geometria variabile

Dalla metà di questo mese di Agosto, i bombardieri strategici a lungo raggio Tupolev-22M3 e i caccia Sukhoi 34M partiranno dalla base iraniana di Shahid Nozeh vicino ad Hamadan invece che dalle loro aree in territorio russo.
L’utilizzo della base iraniana riduce la rotta dei bombardieri da 1250 miglia a 400, il che permette l’aumento del carico di armi e la riduzione dei tempi di volo del 60 per cento.
I missili russi, lanciati dalla Flotta del Mar Caspio verso gli obiettivi in Siria, hanno avuto il permesso di sorvolo dai governi iraniano e iraqeno, mentre la base siriana di Humaynim sarà trasformata dai russi in una base permanente, che ospiterà una task force russo-siriana specificamente addestrata per operazioni antiterrorismo e anti-jihad.
Inoltre, Mosca schiererà, nel Mediterraneo, la portaerei Admiral Kuznetsov con elicotteri d’attacco Ka-52.

Né si deve dimenticare, per chiarire il livello e l’importanza dell’impegno russo (ma anche iraniano) in Siria a favore di Bashar el-Assad, la costituzione, dalla fine del settembre 2015, di un centro comune di informazione con sede a Baghdad tra Russia, Iran, Iraq e Siria per coordinare le operazioni contro il Daesh-Isis.

Nel Gennaio scorso, altro dato da tenere nella dovuta considerazione, la Giordania ha costituito con la Russia una “sala di coordinamento informativo”, sempre per le operazioni contro il jihad statuale del califfato sirio-iraqeno dell’Isis.
E non bisogna nemmeno trascurare il fatto che Amman è da sempre uno degli assi strategici della presenza Usa in Medio Oriente, mentre l’Iraq partecipa alla coalizione diretta da Washington contro l’Isis.

L’impegno in Siria da parte di Mosca è, quindi, determinante per tutta la geopolitica russa, non si tratta solo di un vuoto americano da riempire ma, per Putin, la costruzione di un nuovo Medio Oriente con un centro di gravità russo è la priorità della politica estera postsovietica.
Anche per l’Urss, è bene ricordarlo, e fin dal XX Congresso del Pcus del 1956, il mondo arabo era il fulcro della proiezione di potenza russa, ovvero la chiusura a sud della Nato e la penetrazione di Mosca nel Mediterraneo, che è il “mare regionale” che controlla l’Europa meridionale, il Maghreb e, in particolare, il canale di Suez e il Golfo Persico.
Le ideologie passano, le condizioni geopolitiche rimangono

Ma cosa dovrebbe accadere in Siria, secondo i maggiori players politico-militari in quel quadrante?
Per gli Usa e l’Alleanza Atlantica, il punto centrale è la futura frammentazione della Siria, dell’Iraq e, magari, del Nord iraniano, soprattutto per mezzo della creazione del “corridoio curdo” che la Turchia accetta bon grè mal grè, ma non a suoi confini meridionali.
L’idea di fondo di Usa e Nato è quella di creare una serie di punti di conflitto a bassa intensità ai bordi della Federazione Russa; ed ecco quindi perché Mosca si è impegnata così seriamente in Siria.
Il territorio di Damasco è il punto di rottura della “collana di perle” tesa a rinchiudere la Russia.
Al contrario, infatti, la Russia vuole usare il vecchio Pkk curdo per costruire una zona-cuscinetto non integrata nel nuovo piano atlantico.
Il tutto al fine di evitare l’innesco di una long war che interromperebbe la continuità tra Mosca, l’Iran, l’Iraq e la Siria, che la Federazione Russa vuole intera e sotto il comando del nuovo Baath di Bashar el-Assad.
Niente vieta che, in seguito, l’area delle long wars si estenda anche ad alcune repubbliche caucasiche appartenenti oggi alla Comunità degli Stati Indipendenti e quindi sottoposte all’egemonia di Mosca.

Israele vuole poi l’annessione ufficiale delle alture del Golan e la tutela, da parte di Mosca, del regime siriano, con la garanzia che esso non si muoverà mai contro Gerusalemme. Come accadrebbe se Damasco fosse sottoposta ad una leadership unicamente iraniana.

L’Iran vuole allora mantenere una Siria “amica” e un Iraq unitario, che permettano a Teheran la gestione di un proprio corridoio verso il Mediterraneo, non condizionato dai russi e autonomo dalla Turchia.
Teheran, lo ricordiamo, ha perfino sostenuto il governo della Fratellanza Musulmana di Mohammed Morsi in Egitto, per motivi di stabilità politica e di apertura iraniana verso il Mediterraneo.
Ma l’Iran non vedrebbe male nemmeno, per gli stessi motivi geostrategici, un governo sunnita in Siria che avesse buoni rapporti con la massima potenza sciita.
Prima la geopolitica, poi la religione, lo sanno anche a Teheran.

Comunque, per ora, l’interesse primario degli iraniani è quello di mantenere a tutti costi lo stato alawita degli Assad, che fa da base per tutti i collegamenti tra Teheran e le sue alleanze regionali, dagli Hezb’ollah libanesi, che peraltro Damasco non ama, e i ribelli Houthy sciiti in Yemen, per non parlare delle minoranze sciite in Bahrein o nell’area centro-orientale della stessa Arabia Saudita.
Ecco quindi il vero punto di collegamento, per ora, tra gli interessi russi e quelli di Teheran nell’area siriana: tutti e due vogliono una Siria unita e baathista-alawita per interrompere la rete delle “lunghe guerre” USA e atlantiche intorno alla Russia e, appunto, all’Iran, uno stato che, in Occidente, si vorrebbe perfino frazionare.

Ed ora arriva il vero ed ulteriore game changer nel quadrante siriano, l’entrata, non sappiamo ancora quanto diretta, della Cina.
L’Iran è il punto focale, in Medio Oriente, del grande progetto cinese One Belt One Road, con il porto di Chabahar che fa da punto di partenza e la Ferrovia Trans-Asiatica Centrale futura.
Quindi Pechino non vuole in alcun modo la destabilizzazione dell’Iran tramite la guerra in Siria, che porterebbe come naturale conseguenza al blocco delle linee marittime cinesi che attraversano, all’inizio, l’Oceano Indiano.

L’Ucraina ha poi già manifestato interesse per il gas naturale iraniano, che potrebbe sostituire le importazioni dalla Federazione Russa; mentre Teheran è fortemente interessata ad esportare gas naturale verso i suoi nuovi mercati, come i Balcani o l’Europa dell’Est, con un gasdotto collegato al Tap.
Quindi, sul piano energetico, gli interessi iraniani e russi tenderanno presto a divergere.
E’ su questi punti che le élites iraniane discutono del loro rapporto con Mosca, non della stucchevole e impropria separazione al loro interno tra “progressisti” e “conservatori”.
Ed è qui che si basa il progressivo scetticismo che si nota, oggi, nelle élites iraniane a proposito delle operazioni russe in Siria.
Teheran vorrebbe, come hanno ufficialmente dichiarato alcuni dirigenti dei pasdaran, le Guardie della Rivoluzione, un “cessate il fuoco” garantito dalle varie potenze che agiscono nel quadrante (e quindi anche dagli USA) che però non permetta al jihad califfale di rafforzarsi.

La guerra in Siria è costata davvero molto al contribuente iraniano, oltre 15 miliardi di Usd dal 2011; e l’obiettivo strategico del governo iraniano è quello di mantenere il ruolo di Damasco come collegamento, per le armi e le truppe, con l’Iraq, la stessa Siria e il Libano.

Mosca vuole invece evitare, tramite il controllo del territorio siriano, che Usa e Nato chiudano la Federazione Russa in una morsa composta di piccoli Stati che impongono ai russi una continua guerra asimmetrica a bassa intensità.
Non sappiamo quanto questa percezione russa sia giustificata dai fatti, ma è certo che Mosca si sente, oggi, circondata da possibili nemici che l’Alleanza Atlantica può utilizzare.
Obiettivi quindi in gran parte divergenti, tra Russia e Iran, a cui si somma il futuro di Teheran come competitore globale, nel mercato del gas naturale, della Federazione Russa.
Mosca ha poi, con ogni probabilità, concluso un accordo segreto con gli Usa che riguarderebbe l’Esercito Libero Siriano che combatte Assad, con un “cessate il fuoco” futuro che non riguarda l’Iran e che comprenderebbe, inoltre, la cessazione temporanea dei raid aerei russi contro l’opposizione “moderata” siriana e la rete qaedista locale, Jabhat al Nusra.
La Federazione Russa, è bene qui ricordarlo, non vuole mai escludere del tutto Washington dal quadrante siriano.
Mosca vede gli Stati Uniti come inevitabili partners strategici futuri.

Ma l’Iran non ha alcun interesse, se non quello meramente economico, a diminuire il suo contrasto strategico con gli americani, referenti militari e geopolitici del più importante nemico sunnita di Teheran, l’Arabia Saudita.
Quindi, per l’Iran, o si sceglie una collaborazione tattica e a breve termine con la Russia in Siria, o lo stato sciita sarà costretto ad entrare con tutte le sue forze, che non basteranno, nel conflitto tra Assad e i “ribelli moderati” sunniti sostenuti dall’Occidente.
Se ciò non sarà possibile, allora Teheran dovrà abbandonare il suo fine strategico in Siria, ovvero il suo utilizzo del territorio di Assad come base per i suoi proxies in tutto il Medio Oriente, base che verrebbe egemonizzata allora dai sauditi.
Mosca, anche nel sistema siriano, vuole un certo livello di collaborazione con l’Occidente e gli Usa in particolare, ha l’interesse primario a mantenere la sua egemonia sugli Stati originatisi dalla caduta dell’Urss, infine non vuole interdizioni al confine tra la Comunità degli Stati Indipendenti e il suo territorio nazionale.

L’Iran, poi, non è sempre stato affidabile per il perseguimento degli interessi russi. E a Mosca se lo ricordano.
Nel dicembre 2008, per esempio, Teheran votò contro l’attribuzione a San Pietroburgo dell’ufficio esecutivo e del segretariato del Forum dei Paesi Esportatori di Gas, uffici poi stabilitisi a Doha.
Non dobbiamo nemmeno dimenticare gli interessi divergenti tra Mosca e Teheran durante il conflitto nel Nagorno-Karabakh e nel Caucaso in parte legato all’Iran sciita, mentre Teheran non desidera affatto il ritorno della Federazione Russa a posizioni di grande potere in un’area che ritiene, non del tutto a torto, determinante per la sua sicurezza e per le esportazioni future di gas.
Mosca è quindi entrata in Siria, lo ripetiamo, per evitare il blocco strategico che si sarebbe compiuto ai suoi confini da parte delle nazioni occidentali e dei loro proxies.
Sul piano tattico, l’intervento russo in Siria deriva allora da queste considerazioni: mantenere il regime di Damasco unito e “laico” per evitare il contagio del jihad nei suoi territori meridionali; evitare in ogni modo uno scenario “libico” in Siria, l’opzione peggiore di tutte; mostrare il nuovo potere militare russo in concorrenza con quello Usa; evitare infine il ritorno in territorio russo dei 5000 foreign fighters ceceni.
E non bisogna nemmeno dimenticare che la Russia ha 15 milioni di suoi cittadini di fede islamica sunnita, che non tollererebbero un legame troppo stretto con Teheran ma che, d’altro canto, devono essere protetti dall’influsso dell’Isis e, più in generale, del jihad.
Senza trascurare, poi, la evidente superiorità militare russa sul campo, che potrebbe far dimenticare ai siriani quanto l’Iran ha speso, anche in vite umane, per salvare il regime di Bashar el Assad.
Ancora un caso di “collaborazione concorrenziale” tra Mosca e Teheran.

Per gli iraniani, comunque, la scelta di collaborare con Mosca è, anch’essa, determinata da una pluralità di fattori.
In primo luogo, l’Iran sciita ha finalmente una grande potenza, come la Russia, che gli fa da sponsor internazionale, una fase iniziata con la firma del Jcpoa, largamente influenzata da Mosca.
Naturalmente, la Federazione Russa non vuole certo che il suo rapporto con Teheran faccia precipitare definitivamente la crisi con gli Usa e l’Occidente.
Ma bisogna però notare che, all’inizio delle ostilità in Siria, la Russia mandava solo pochi “volontari” e offriva ad Assad solo un supporto diplomatico.
Solo nel 2015, quando lo sforzo iraniano comincia visibilmente a declinare, e Teheran mostra di non potere garantire ad Assad il mantenimento al potere, che Mosca entra direttamente nel conflitto.
Né la Russia né l’Iran sono, comunque, interessati ad una stabile alleanza bilaterale.
Mosca non vuole far parte del campo sciita che si confronta globalmente con i sauditi e le altre potenze sunnite.
Teheran non ha alcun interesse a far parte del grande scontro strategico tra russi e occidentali.
Mosca vuole inoltre l’accesso alle tecnologie e ai capitali dell’Ovest.
Inoltre, la Russia non vuole scontri, anzi cerca oggi l’amicizia di Israele, sia per motivi politico-militari che economici.
Il che è, ovviamente, un’eresia per gli iraniani.
Ecco, è dall’equilibrio tra due alleati tattici obbligati ad una strategia comune in Siria, Russia e Iran, che si svilupperà la nuova forma del Grande Medio Oriente.

Gli Usa ritorneranno nell’area quando e come lo stabilirà Mosca, il vero vincitore del nuovo “grande gioco” regionale, gli europei saranno esclusi a priori, a causa della loro inutilità, la Cina entrerà insieme alla Russia e con la collaborazione dell’Iran, interessato ad un cuscinetto geopolitico che faccia da mediatore credibile con Mosca.



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