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Rio 2016, addio alle ultime elefantiache Olimpiadi

A pochi giorni dalla fine dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, la domanda che si pongono i brasiliani riguarda la futura destinazione delle infrastrutture create per l’occasione, soprattutto nel momento di grave crisi economica che il Brasile sta affrontando in questo periodo.

Checché ne abbiano detto la stampa brasiliana e quella internazionale fino alla vigilia della cerimonia di apertura, se tutto andrà come previsto (e l’inaugurazione è stata propizia in questo senso) i Giochi saranno molto probabilmente ricordati un successo di pubblico e di critica, eguagliando il risultato positivo della Coppa del Mondo del 2014 (prestazioni calcistiche della squadra di casa a parte).

Per quanto possa essere confusa la gestione del villaggio olimpico, i benefici della manifestazione sportiva per la città sono ben visibili. L’evento aiuta l’economia locale e lascia un’eredità importante ai cariocas. Anche le promesse non mantenute, come la pulizia della Baia di Guanabara, sono già state digerite dall’opinione pubblica e rinviate a data da destinarsi.

Il problema, tuttavia, rimane legato al post-Giochi, soprattutto per quanto riguarda la carenza di fondi e la scarsa capacità di gestione e manutenzione degli impianti sportivi costruiti per l’occasione.

Inoltre, secondo diversi specialisti, la costruzione di un villaggio olimpico ex novo è una strategia obsoleta. Probabilmente, Rio de Janeiro sarà l’ultima città in cui verrà realizzato un progetto di questo tipo: dalla prossima Olimpiade non si organizzeranno più Giochi in questo modo.

A Tokyo, nel 2020, saranno utilizzati impianti già esistenti, solo ristrutturati per l’occasione, concentrando gli investimenti in opere infrastrutturali come metropolitane, o in miglioramenti urbani che rimarranno a disposizione dei cittadini dopo la manifestazione sportiva. E lo stesso dovrebbe avvenire anche per le città che ospiteranno i Giochi in futuro. Nessun altro costruirà nuovi parchi olimpici.

LA FINE DEGLI ELEFANTI BIANCHI

È questo quanto previsto dall’”Agenda 2020″, un documento approvato nel 2014 dal Comitato olimpico internazionale (Cio) che intende porre fine ai cosiddetti “elefanti bianchi”, mega-infrastrutture costruite per i Giochi olimpici e condannate all’abbandono o al sottoutilizzo dopo la cerimonia di chiusura.

A Rio de Janeiro, ad esempio, la costruzione del velodromo è considerato uno dei casi di realizzazione di infrastrutture inutili per la città. Nella metropoli brasiliana – ma in generale in tutto il paese – il ciclismo è poco praticato e non desta particolare interesse nel pubblico: infatti, il sindaco di Rio Eduardo Paes è dovuto correre ai ripari annunciando che la struttura verrà smontata alla fine dei giochi e donata ad una città che ne faccia richiesta.

L’obiettivo del Cio è evitare che, a partire dalle prossime Olimpiadi, si verifichino eccessi di spesa per l’organizzazione delle gare nel paese ospitante. Una decisione che punta a scongiurare sprechi e a non appesantire i bilanci pubblici, ma anche ad arginare opportunità di corruzione.

Basti pensare che ancora oggi la Grecia non ha recuperato gli investimenti realizzati per i Giochi del 2004 e sconta le conseguenze di un indebitamento mal pianificato.

A Rio, invece, la costruzione del villaggio olimpico è stata realizzata con una mega-speculazione immobiliare dal gigante delle costruzioni Odebrecht, invischiato negli scandali di corruzione a tutti i livelli di governo e il cui amministratore delegato e principale azionista, Marcelo Odebrecht, è agli arresti da oltre un anno nell’ambito dell’operazione “Lava Jato”, la Mani Pulite brasiliana. Infine, non è un caso che lo Stato di Rio de Janeiro abbia dichiarato bancarotta poche settimane prima dell’apertura dei Giochi.

Nondimeno, per permettere che in futuro i Giochi si svolgano in paesi in via di sviluppo, dove le infrastrutture sono scarse, il Cio permetterà il raggruppamento di diverse città, ognuna dotata di diverse strutture sportive adeguate o dove sono necessari pochi adattamenti, evitando di concentrare tutti gli eventi in un unico luogo.

I paesi del Golfo Persico o quelli dell’America centrale e dei Caraibi si sono già interessati alla possibilità. Così facendo, le nazioni meno sviluppate non dovranno preoccuparsi di realizzare opere gigantesche. Fino ad oggi, i costi per la realizzazione di un’Olimpiade sono lievitati al punto da permettere solo alle città “ricche” di potersi candidare. A partire da questa edizione, saranno invece i Giochi a doversi adattare alle città-sede, e non le città ai Giochi.

OPPORTUNITÀ CARIOCA

Questa strategia è stata già in parte applicata a Rio 2016. Per il maxi-evento, la città ha trasformato il suo volto. La zona portuale, fino a pochi anni fa squallida e abbandonata, è stata riqualificata e oggi è diventata il nuovo “salotto buono” della metropoli brasiliana, arrivando a rivaleggiare con la tradizionale Copacabana.

Nuove infrastrutture di trasporto sono state costruite per consentire l’accesso al parco olimpico, e sono stati lanciati programmi sociali destinati a restare anche dopo la fine delle Olimpiadi. La maggior parte delle opere sono state realizzate attraverso una partnership pubblico-privata, cercando di non appesantire troppo le casse pubbliche. Ma l’edizione è comunque costata oltre 40 miliardi di reais (oltre 10,5 miliardi di euro).

Rio 2016 potrà essere ricordato come un caso di successo, al pari delle Olimpiadi di Barcellona del 1992, oppure come un costoso fallimento, nel solco di Atene 2004. Non esiste una formula magica per assicurare un ritorno a lungo termine in tutti i settori legati ai grandi progetti sportivi. Il segreto è l’adattamento.

Pechino e Sydney, ad esempio, hanno subito un calo significativo del turismo dopo i Giochi, tanto che a Sydney diversi alberghi hanno chiuso dopo le Olimpiadi per mancanza di clienti. Nel caso di Barcellona, ci sono voluti dieci anni per recuperare il numero di turisti del periodo delle Olimpiadi, ma la città catalana è riuscita ad affermarsi come meta turistica mondiale, diventando una metropoli “alla moda”. Ed è a questo esempio che si ispira Rio.

(Pubblicato su Affari Internazionali)


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