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Pensioni, come funzionerà l’Ape. Fatti, obiettivi e dubbi

Tommaso Nannicini (8)

Da ostinati ed irriducibili difensori della riforma Fornero delle pensioni abbiamo tirato un sospiro di sollievo quando il Governo ha dribblato le proposte, autorevolmente sostenute – ciascuno la sua – da Cesare Damiano e da Tito Boeri, per approdare all’Ape: in sostanza, ad un prestito bancario che può essere chiesto tre anni prima di maturare il requisito anagrafico per il trattamento di vecchiaia, facendo valere un’anzianità contributiva minima di venti anni. Ci siamo più volte detti: si tratta di un circuito parallelo che non mette in discussione le regole vigenti, dal momento che il sistema pubblico prende in carico il lavoratore solo quando ha acquisito le condizioni anagrafiche e contributive previste dalla legge. Però qualche domanda ci viene spontanea. Non hanno nulla da dire, in questo ambaradan di proposte, l’Abi (a nome degli istituti di credito) e l’Ania (in rappresentanza delle compagnie di assicurazione)? Perché, se abbiamo ben compreso, l’Ape per quelle imprese è tutt’altro che un affare. Inoltre, è veramente singolare che, per legge, si decida che una banca sia tenuta ad erogare un prestito con la sola garanzia che il suo importo comincerà ad essere restituito – con rate ventennali – a partire da quando il soggetto percepirà la pensione pubblica (a 67 anni). Si vede che il Governo ha stretto un patto anche con il Padreterno il quale gli ha garantito che i percettori del prestito non moriranno prima di averne compiuto 87.

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Cromwell stava per devastare tutta la cristianità: la famiglia reale era perduta e la sua [era] potente per sempre, se un granellino di sabbia non gli si fosse ficcato nell’uretere. La stessa Roma stava per tremare sotto di lui; ma, cacciatasi lì quella pietruzza, egli morì, la sua famiglia cadde, tutto tornò in pace e il re fu rimesso sul trono”. È il “pensiero n.290” tratto dall’opera di Blaise Pascal. Del brano ci siamo ricordati pensando alle voci che danno per gravemente malata Hillary Clinton. Naturalmente ci auguriamo che la candidata democratica sia in buona salute e vinca le elezioni. Ma la fragilità dell’essere umano è tale da poter stroncare in un attimo le aspirazioni, gli sforzi e l’impegno di un’intera vita passata a rincorrere un sogno di grandezza. Proprio quando è ormai a portata di mano.

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Più di quarant’anni or sono la battaglia in difesa della legge sul divorzio fu vinta anche perché si schierarono per il NO nel referendum abrogativo le formazioni dei “cattolici democratici”: intellettuali, sindacalisti, personalità del mondo politico ed economico che, in nome della libertà di coscienza, rifiutarono di assecondare il tentativo di trasformare quel voto in uno scontro tra cattolici e laici. Per loro, un principio fondamentale di una fede religiosa, condivisa e praticata, non poteva essere imposto per legge anche a quanti credenti non erano. Non vorremmo cadere in paragoni impropri ed esagerati, ma l’iniziativa di Massimo D’Alema, per il NO nel referendum sulla legge Boschi, contribuisce, tutto sommato, a sparigliare i giochi e a qualificare il composito schieramento contrario a quella riforma.

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Stefano Graziano è stato scagionato dalle infamanti accuse di collusione con la criminalità organizzata. Ha voluto ringraziare i magistrati per essere stati solleciti nel definire la sua posizione. Un tempo si sarebbe parlato di “sindrome di Stoccolma”.

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