Malgrado la riservatezza, ovvia in questi casi, il progetto di Barack Obama per la Siria è stato reso noto da pochi giorni. In primo luogo, la direttiva presidenziale segreta si pone l’obiettivo della conquista di Mosul entro la prima metà del prossimo dicembre; e le forze che libereranno la città saranno alcuni gruppi dei Corpi Speciali Usa oltre a cinque divisioni dell’esercito iracheno con comando americano.
Inoltre, l’accordo tra Obama e Massud Barzani, il capo della Provincia Autonoma del Kurdistan Iracheno, prevede che: a) i peshmerga curdi attaccheranno Mosul dal nord e da est, b) gli Usa garantiranno una zona di sicurezza dall’area di Mosul fino ai confini del Kurdistan di Barzani, c) gli americani escluderanno le milizie sciite dal prender parte all’azione militare, e si impegneranno a non far entrare le milizie sciite nelle città a maggioranza sunnita.
Detto tra parentesi, il piano per la liberazione di Mosul è identico a quello, sempre elaborato dagli americani, per escludere l’Isis da Tikrit, Ramadi e Fallujah, piani falliti, come si ricorderà.
Gli americani, inoltre, coopteranno la coalizione Al Mutahidun diretta da Osama Al Nujaifi. In quanto presidente della camera dei rappresentanti irachena, Al Nujaifi è il politico sunnita più alto in grado in un paese a maggioranza sciita, dove peraltro la longa manus dell’Iran si fa spesso sentire.
Sul piano specificamente militare, l’offensiva su Raqqa verrà compiuta simultaneamente a quella verso Mosul.
Gli Usa svilupperanno soprattutto un’offensiva dal cielo, con bombardamenti mirati alle infrastrutture militari e politiche dell’Isis.
Il comando americano, così almeno riportano i documenti, avrà il controllo dei voli russi e siriani sul territorio dell’Isis.
Ovvio: Putin ha già vinto la sua guerra per l’influenza in Medio Oriente, non ha bisogno di un incancrenirsi della guerra in Siria.
Né bisogna dimenticare la terribile gaffe del vice presidente Usa Joe Biden quando, nel suo viaggio ad Ankara del 24 Agosto scorso, indicò alla stessa milizia curda che ora dovrebbe partecipare all’attacco contro l’Isis, di ritirarsi sulla riva est dell’Eufrate, seguendo il consiglio del leader turco Erdogan.
Seguiranno gli ordini americani i curdi? Temiamo di no. Nella conquista di Raqqa e Mosul si realizzerà, molto probabilmente, una separazione di fatto tra operazioni sul terreno russe, curde e siriane e quelle almeno in parte, dei curdi filo-Usa.
E i siriani? Sarà difficile, per le forze di Bashar al Assad, dimenticare l’episodio di Deir Al Zur del 13 settembre scorso, dove aerei Usa hanno colpito forze siriane che si scontravano con l’Isis lasciando sul terreno 62 morti. Nemmeno questo sarò facilmente dimenticato dall’esercito Arabo Siriano.Anche la Russia ha la memoria lunga, dopo il fallimento della tregua del 9 settembre.
La strategia degli americani è ormai chiara. Non desiderano fare favori alla Russia, che rimane un “rivale strategico” e non sono interessati ad una Siria unita. L’idea di fondo degli Usa è questa: se il regime siriano cede, e i recenti successi sembrano allontanare questa evenienza, gli americani creeranno una “cortina di guerra” che bloccherà la continuità strategica tra Siria e Irak e, in futuro, porterà alla partizione della Siria, che la renderà inutilizzabile per Russia e Cina.
L’arco di guerra andrà da Idlib ad Abu Qamal via Aleppo, Raqqa e Deir El Zur, arco che verrà troncato orizzontalmente da una entità curda a Nord. La Siria come “Libia del Levante”, insomma.
Ma qual è la logica strategica dei russi in Siria, oggi? Intanto, vi è a Mosca un’attenta valutazione costi-benefici per ogni impegno bellico. Come diceva Francesco Cossiga, “gli americani sono sempre sul punto di pare una guerra ma poi non la sanno condurre”. Inoltre, al Cremlino sono coscienti del fatto che una guerra interetnica e interreligiosa è pressoché infinita, e che solo una trattativa può davvero farla cessare.
Nella misura in cui la Russia ha tolto dal teatro siriano una buona parte della sua forza aerea, pur mantenendo le proprie basi, Mosca costringe sia la Siria di Bashar che i cosiddetti “ribelli” a prendere sul serio il cessate il fuoco del 12 settembre, mentre la Russia preme credibilmente sia con l’Arabia Saudita che con la Turchia, senza abbandonare al suo destino la Siria di Bashar o il rapporto con l’Iran.
Ma Teheran ha dichiarato che il frazionamento della Siria porterebbe ad una “Nuova Armageddon”, mentre invece la Russia ha dichiarato di poter accettare anche una Siria federale. Il successo russo è ormai chiaro: Mosca ha evitato che la Turchia si creasse uno staterello dipendente da Ankara, mentre l’idea di uno stato federale siriano ha elettrizzato la minoranza curda.
Se gli Usa fanno la guerra in quanto soluzione quasi metafisica della lotta tra Bene e Male, per i russi il ricorso alle armi prepara una pace favorevole, è uno strumento della politica, non una fase in cui, secondo Clausewitz, la politica si sospende.
La Russia ha poi bisogno, dal punto di vista economico, della Turchia. Ankara è il secondo compratore di energia russa dopo la Germania, mentre è alto l’import di Mosca dalla Turchia per quanto riguarda l’agroalimentare, soprattutto dopo le stupide sanzioni che hanno messo in ginocchio l’economia Ue e, soprattutto, la nostra.
Comunque, la Turchia rimane il maggior compratore di grano russo. I nostri politici sono buoni solo a dire sì al Padrone, che peraltro non si cura di loro. Vivono ancora nella guerra fredda, e nessuno li può svegliare dal loro vecchio sogno. Un altro problema per Mosca, già peraltro risolto, è lo scontro con l’Arabia Saudita. La Russia ritiene poi, del tutto a ragione, che Riyadh sia alla base del jihadismo mediorientale e della “guerra santa” globale, che è appunto lo strumento della egemonia mondiale della Arabia Saudita, l’altra faccia del petrolio.
D’altra parte, Mosca vuole mantenere buoni rapporti con Riyadh per sostenere il prezzo del barile, troppo basso per la fragile economia russa, vuole inoltre mostrarsi amica degli islamici residenti nel proprio territorio, salvo le minoranze wahabite del Caucaso e dell’Asia Centrale, organiche agli interessi dei sauditi.
Un gioco di scacchi che evita la guerra e riesce a punire i nemici della Russia. Lo stesso vale per l’Iran. Mosca non ama il JCPOA concordato tra Teheran e l’Occidente, peraltro con il suo appoggio. Un vecchio diplomatico russo era solito affermare che “un Iran filoamericano è più pericoloso per noi di un Iran nucleare”. Le Porte aperte con Turchia e Arabia Saudita servono alla Russia per controbilanciare l’Iran e per far comprendere a Teheran che si tratta di un matrimonio di convenienza.
Quindi, usando il vecchio e mai fallito sistema del balance of power, Mosca è riuscita a ritornare grande potenza globale, ad evitare la lunga guerra defatigante in Siria, costringendo Assad alla trattativa e, soprattutto a difendere gli interessi nazionali russi. Se le relazioni internazionali dell’Occidente sono ormai votate al nonsense dei “diritti umani” e del portare la democrazia, Mosca si sta mostrando come l’unica capitale mondiale dove non si fa politica estera pensando al proprio elettorato femminile o negro.