Meno crescita, più deficit, più debito. Con questo triangolo tragico Matteo Renzi lancia quella che, con ampio ricorso alla retorica, viene chiamata “la sfida” a Bruxelles. Va bene, l’austerità sarà finita (davvero?) come ci annuncia la Repubblica. D’accordo, anche la Germania ha bisogno di allentare le briglie e spendere un po’ di più in salari e investimenti. Okay, la Francia sfora ancora i limiti di Maastricht per non parlare della Spagna. Ma nessun Paese europeo (se si esclude la Grecia che viene tenuta a bagnomaria ai limiti della zona euro), può vantare una tale triade di record negativi: le stime per il 2017 sono peggiori in tutti i parametri fondamentali, perché il tasso di crescita previsto all’1,4 scende all’un per cento (ed è già tanto visto che il tasso tendenziale è appena lo 0,6%), il disavanzo passa dall’1,8% del Pil al 2,4 e il debito sul prodotto lordo sale anch’esso dal 130,9 al 132,2.
Si può dire che 132,2% segna comunque una piccola riduzione rispetto al 132,8% con il quale si chiude il 2016, ma l’aumento continuo mese dopo mese mette ragionevolmente in dubbio anche l’obiettivo fissato per l’anno prossimo. Perché, se è vero che il denominatore (il Pil) non si muove, è anche vero che il numeratore (il debito in cifra assoluta) continua a salire. Del resto, come potrebbe scendere se si pensa che le due manovre economiche firmate da Renzi hanno sempre aumentato il disavanzo pubblico e la terza s’appresta a farlo ancora.
Con queste cifre e con questo tipo di politica fiscale, il governo pensa di convincere l’Unione europea? E di convincere i mercati finanziari, obiettivo ancor più importante perché a differenza di Bruxelles le borse muovono quattrini veri non virtuali tipo il piano Juncker?
A Palazzo Chigi intendono usare un argomento politico: in un clima elettorale infuocato come quello italiano una legge di bilancio all’insegna del rigore nei conti pubblici, in modo da confermare l’impegno a ridurre il debito, avrebbe provocato scossoni sociali e politici, favorendo il no al referendum del 4 dicembre. Tagliare la spesa pubblica corrente provoca conflitti con i comuni, le Regioni, i sindacati, e tutte le lobby malmostose e tumultuanti che prolificano dentro lo Stato assistenziale. Può darsi. Ma, fatta saltare una consistente spending review, il governo ha alzato bandiera bianca. Le folle armate di forconi sperano che Beppe Grillo una volta preso il potere cancellerà il debito pubblico? Vedremo cosa accadrà col debito di Roma visto che non sono in in grado di nominare nemmeno un assessore al Bilancio. Più che grillini sono semmai grullini.
Non solo. La manovra che la nota di aggiornamento al Def fa intravedere e che sarà contenuta nella legge di bilancio, è composta da una miriade di piccole misure, stando attenti ad accontentare categorie sociali o parte di esse, una distribuzione di sollievi momentanei, di cardioaspirine, senza una medicina efficace. Le risorse sono scarse, ha detto il ministro Padoan nel suo indomabile realismo, e non si può dargli torto. Ma il governo ha scelto non di concentrare le limitate disponibilità finanziarie in pochi provvedimenti chiari e netti (per esempio cominciando a ridurre le imposte sui redditi per sostenere la domanda e dividere in modo più equo la piccola torta), bensì di far cadere una pioggerella.
Inutile prendersela con i soliti “falchi rigoristi del nord” (una retorica stantia come la cantilena sulla flessibilità). Anche perché gli stessi Paesi del sud (Grecia esclusa) fanno meglio di noi; non solo, crescono di più e in modo meno squilibrato pure quelli che hanno subito la mannaia della trojka. L’Italia chiede alla Ue di essere aiutata, ma più deficit e più debito non è il miglior biglietto da visita.
Senza riaprire la diatriba tra monetaristi e keynesiani (ormai trita e ritrita, altrettanto noiosa della flessibilità e delle invettive anti-tedesche), nessuno, nemmeno la buonanima di Keynes, potrebbe sostenere che un debito al 132% del pil spinge un Paese come l’Italia (con i suoi problemi di produttività declinante, pubblica amministrazione inefficiente, servizi vecchi e dissestati) a uscire da questa infinita stagnazione. Semmai, è il contrario. Nei bilanci delle banche italiane i Btp spiazzano i crediti, perché il debito pubblico (dopo la crisi del 2010-2011) non è più a rischio zero. E l’idea che possiamo comunque galleggiare, tanto continuiamo a indebitarci è proprio quella che ci ha portato dritti dritti nella palude.