Le certezze sono tre: la lotta al terrorismo si fa anche cogliendo campanelli di allarme in tanti ambienti; i terroristi non arrivano dai barconi di immigrati ma possono infiltrarsi nei flussi via terra, come quelli che attraversano i Balcani; la prevenzione è il solo campo su cui giocare perché ormai è chiaro che l’attentatore di stampo islamista è pronto a morire. E’ un’intervista interessante quella che l’ultimo numero di Polizia moderna, il mensile della Polizia di Stato, ha fatto a Lamberto Giannini (nella foto), neo direttore centrale reggente della Polizia di prevenzione e prossimo alla nomina definitiva.
Giannini, finora capo del Servizio centrale antiterrorismo, insiste su un punto particolarmente caro agli investigatori, quello della collaborazione dei cittadini. I campanelli di allarme di cui parla sono «i repentini cambiamenti nel modo di vestire, il diverso approccio manifestato con le donne che dall’oggi al domani diventa di assoluto distacco o i comportamenti manifestati in pubblico o sul luogo di lavoro come l’esultanza alla notizia di attentati. Ma anche le segnalazioni dei centri antiviolenza, dei centri di igiene mentale e delle scuole rivestono una grande importanza». Per esempio, capita che ai centri antiviolenza si rivolgano donne maltrattate o oggetto di stalking da parte di mariti o compagni violenti e può essere un segnale di radicalizzazione da parte dell’uomo, così come a scuola i bambini possono riportare i discorsi ascoltati in casa e gli insegnanti devono saperli cogliere.
Sul discusso problema della possibile presenza di terroristi tra i migranti che arrivano via mare, Giannini ripete un concetto già espresso in precedenza: «Mi risulta difficile pensare che, una volta che viene preparato e addestrato un terrorista per passare all’azione, poi lo si metta su un barcone dove all’arrivo sarà controllato e schedato. Senza parlare dei rischi che si corrono durante la traversata». Finora, aggiunge, l’unica provenienza di terroristi dai flussi migratori è stata quella dei due kamikaze che si fecero esplodere nei pressi dello stadio di Parigi, ma «erano transitati utilizzando la rotta balcanica». Ciò non significa che non si facciano controlli, in particolare verso chi torna da zone di guerra e il neo direttore della Polizia di prevenzione ricorda gli arresti fatti ai danni «di un soggetto espulso per terrorismo che tentava di rientrare in Italia o quello di un attivista delle milizie in Siria giunto sulle nostre coste».
L’attività antiterrorismo si concentra sulla propaganda e sul reclutamento sul web che secondo Giannini ha portato all’attuale moltiplicazione dei foreign fighters rispetto ai pochi casi risalenti all’Afghanistan o addirittura alla Bosnia. La collaborazione dunque è fondamentale: in Italia sappiamo che è ottimale grazie allo scambio di informazioni tra forze di polizia e intelligence all’interno del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo; sul fronte europeo ci sono passi in avanti, anche se c’è molta strada da percorrere. Giannini ricorda che durante il semestre di presidenza italiana è stata creata una rete di 15 nazioni con l’unico scopo di affrontare il problema dei foreign fighters: «A qualunque ora del giorno o della notte, ognuno dei Paesi aderenti può, per esempio, segnalare la partenza o lo spostamento di uno di questi e richiedere un controllo, un pedinamento o qualche altra iniziativa, avendo la certezza di poter interloquire immediatamente con una persona che conosce l’argomento, in grado di valutare e intraprendere immediatamente le iniziative richieste» spiega il dirigente a Polizia Moderna. Inoltre, è fondamentale la diffusione sul web, sulla stampa e in televisione delle storie di ragazzi o ragazze ammaliate dal jihad e che solo una volta in mano all’Isis si rendono conto del tragico errore: conoscere la loro sorte può aiutare a frenare la radicalizzazione e permettere un percorso di recupero.
Per chi deve fermare i terroristi questa fase storica non presenta molte differenze tra il lupo solitario e il membro di una cellula: hanno obiettivi diversi, ma visto che entrambi sono pronti a morire pur di uccidere, la conclusione di Giannini è che «ciò ci lascia solo un campo su cui giocare, quello della prevenzione».