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L’Italicum e la cantilena della deriva autoritaria

Come e quando ancora non è chiaro, ma sembra ormai certo che l’Italicum verrà modificato. L’abolizione delle pluricandidature e dei capilista bloccati sarebbe già un bel passo in avanti, ma sul banco degli imputati resta il ballottaggio di lista. C’è chi propone di sostituirlo con un ballottaggio di coalizione e chi si oppone pregiudizialmente al meccanismo del doppio turno. Le ipotesi in campo sono diverse, e siamo in attesa delle proposte che Matteo Renzi dovrebbe formulare nella prossima Direzione del Pd.

Ora, un sistema elettorale è “buono” se garantisce un equilibrio ragionevole tra il principio della governabilità e il principio della rappresentanza. Solo che non esistono soluzioni perfette. In questo senso, l’Italicum non sarà la legge elettorale migliore al mondo, ma neppure la peggiore: è comunque un sistema proporzionale, pur tarato sulla governabilità, che tutela i partiti più piccoli e le minoranze linguistiche.

È vero: al ballottaggio potrebbe vincere un partito votato da meno di un terzo degli elettori. Non è uno scenario da salti di gioia. Ma dov’è lo scandalo? In Gran Bretagna – uno dei Paesi più liberali e democratici del mondo – c’è un sistema sì criticato, ma che nessuno si sogna di cambiare, basato sui collegi uninominali (first past the post). Ebbene, nel 2005 Blair vinse con il 35% dei voti ottenuti su base nazionale; con tale percentuale il Labour ottenne il 55 per cento dei seggi. Nel 2012 Hollande al primo turno prese addirittura il 53 per cento dei seggi con il 29 per cento dei voti. Morale: se vogliamo un bipartismo “governante”, c’è un prezzo da pagare. Se invece si preferisce che si governi con almeno il 51 per cento dei voti reali, allora bisogna accettare l’altissima probabilità di coalizioni rissose e traballanti. Meglio: delle ammucchiate (ricordate il secondo governo Prodi? Oltre cento tra ministri e sottosegretari, espressione di dieci partiti).

È legittimo invocare un sistema elettorale meno “sbilanciato” dell’Italicum. Ma un maggioritario in cui votano due terzi degli elettori è forse meno rappresentativo (della volontà del popolo) di un proporzionale in cui vota la metà degli elettori? E, poi, si può davvero collocare l’Italicum tra gli strumenti di un disegno bonapartista, studiato a tavolino da un premier prepotente e tendenzialmente dispotico? Siamo seri. Rispetto i giuristi e gli intellettuali che dissentono: il dubbio è il sale della dialettica democratica. Ma la deriva autoritaria si manifesta anzitutto con l’inamovibilità delle élites. Ed Miliband si è dimesso il giorno stesso in cui ha perso le elezioni. Così ha fatto Gordon Brown prima di lui. Da noi i leader politici sono attaccati al potere come cozze agli scogli, anche quelli che dicono di combattere “l’uomo solo al comando”.

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La sinistra (intra ed extra moenia) del Pd è insorta contro Renzi, reo di fare l’occhiolino alla destra nella campagna referendaria. Però voterà o minaccia di votare con Salvini, Berlusconi e Meloni. Non è soltanto una comica posizione politica. Violando il principio di non contraddizione, il mio maestro Lucio Colletti l’avrebbe definita una catastrofe concettuale.

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Introduzione del vincolo di mandato nella Costituzione italiana: come ha documentato Formiche.net, è questa una delle due proposte più cliccate dagli iscritti sulla piattaforma Rousseau, il sistema operativo del Movimento 5 Stelle. Non è che adesso Alessandro Di Battista si crede Robespierre e Luigi Di Maio Lenin?


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