Ho accettato volentieri l’invito di Stefania Craxi e Stefano Caldoro ad aderire e a coordinare il “Comitato dei Riformisti per il No” perché sono convinto, come loro, che la revisione costituzionale proposta al voto del referendum sia sbagliata e sia sbagliata non perché cambia troppo la Costituzione bensì perché la cambia male e non nei punti in cui più sarebbe necessario.
Penso che la revisione arrivi a tempo scaduto e che non completi affatto la cosiddetta transizione. Era pensata per consolidare un sistema politico bipolare e maggioritario e si trova a fare i conti con un sistema almeno tripolare e sempre più frammentato. In questo contesto, la revisione, anche se dovesse essere approvata, cosa che non mi auguro, resterebbe un’imposizione indigesta di una parte su un’altra come testimonia tutto l’iter parlamentare. In questo parlamento amorfo e costituito da gruppi che, in gran parte, non si erano presentati al voto e perciò sconosciuti agli elettori (gruppi determinanti per il voto favorevole), la revisione è stata voluta in sostanza da un partito solo, un partito che da solo non ha né la forza né il consenso per reggere in solitudine il governo del paese. Figuriamoci per rivedere la Costituzione. Ma che purtroppo si è mosso e si muove come se avesse quella forza e quel consenso.
Mi pare che siamo arrivati qui, in questo modo, per almeno due ragioni: 1) per scelte sbagliate e paternalistiche compiute negli ultimi anni, che hanno scosso la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche: penso al governo Monti invece delle elezioni a fine 2011 ed al referendum sul Mattarellum negato dalla Corte costituzionale nel gennaio 2012 nonostante 1,3 milioni di firme raccolte in meno di tre mesi); 2) per gli effetti profondi di una crisi economica che la nostra frastornata classe dirigente cerca di derubricare a crisi congiunturale per non analizzarne le cause e non doversi mettere alla ricerca di rimedi non ordinari.
È su questo sfondo di paternalismo democratico e di rimozione della crisi e delle sue cause che mi sono allontanato dal Pd e dal suo canovaccio progressista (un progressismo sempre più di maniera) nel corso del 2013, nel periodo che va dalle elezioni politiche (febbraio) alle primarie per la segreteria (autunno), costernato non tanto (o non solo) per la bruciante sconfitta elettorale del gruppo dirigente storico del partito quanto dalla incapacità di quei dirigenti di fare i conti con la realtà e di ammettere la sconfitta con la conseguenza di farsi travolgere da un nuovo gruppo dirigente guidato da un capo deciso e indiscusso, gruppo che non brilla per spessore culturale, che si vanta di essere senza memoria (tra rottamazioni varie e sommarie condanne del passato) e che quindi galleggia nell’aria senza una visione del paese, ovvero con un’idea oleografica dell’Italia (un mix tra Mulino Bianco e Super-eroi).
Non andremo lontano senza memoria e senza una riflessione critica sull’ultima fase della nostra storia: dagli effetti non virtuosi di di Mani Pulite (che ha generato un profondo squilibrio dei poteri e affermato un improprio primato della magistratura sulla politica) alle ricadute indesiderate del ‘vincolo esterno’ europeo (che lungi dal produrre gli effetti salvifici attesi ha irrigidito alcuni nostri vizi e ci ha fatto perdere parecchio terreno nella classifica europea dei redditi e della ricchezza). Può darsi che a volte, quando un matrimonio va male, rassegnarsi a sopravvivere nel matrimonio possa essere più ragionevole che rischiare di rimetterci l’osso del collo con un divorzio devastante. Può darsi, tuttavia meriterebbe ragionarci. Nel fare memoria per la Repubblica e nel riflettere sul futuro dell’Italia senza rimuoverne il passato ma anzi partendo da pezzi importanti e decisivi del passato, la Fondazione Craxi è un bell’esempio e rende un servizio prezioso al nostro smemorato Paese.
Non si può fare finta che la crisi sia meramente congiunturale e che si tratti solo di trattenere il fiato per poi andare avanti come prima, come dà ad intendere questo governo (a parte certe parole e certe rodomontate). Non si può fare finta, come si fa invece anche con questa revisione delle costituzione, che non sia un problema esautorare il parlamento nazionale cedendo sovranità non a una Europa democratica bensì a tecnostrutture irresponsabili e a consessi inter-governativi in cui si formano gerarchie di stati che ci vedono per forza di cose in seconda fila. Né si può rimuovere con esorcismi e auspici la sfida lanciata al nostro modo di vita e ai nostri valori di libertà e di giustizia da un risveglio islamico in cui religione e integralismo politico sono sempre più intrecciati in un mondo in cui l’Atlantico rischia di diventare una periferia del mondo rispetto al Pacifico e alla massa continentale asiatica.
Di fronte a queste sfide quello che aiuterebbe il nostro paese sarebbe un risveglio democratico, non certo il pannicello caldo di questa revisione della Costituzione, inutile e dannosa, e che il governo difende con argomenti contraddittori: con i riformisti come l’unica possibile e con i conservatori come poco più di un ritocco che lascia invariati i punti essenziali della Costituzione. Un bell’esempio di doppiezza.
Ecco perché mi convince ed aderisco alla proposta di dire NO al referendum per dire SI’ ad una vera riforma della Costituzione da affidare, come nel 1946, ad un’Assemblea costituente da eleggere con sistema proporzionale e senza sbarramento e vincolata dal mandato popolare espresso in tre Referendum su forma di stato (federalismo/centralismo), forma di governo (presidenzialismo/parlamentarismo) e indipendenza della magistratura (carriere unite/separate).
Mario Barbi, ex parlamentare (Ulivo, 2006-08, e Pd, 2008-13)