Skip to main content

Perché la Legge di bilancio non mi convince troppo

Matteo Renzi

Premessa doverosa: le critiche che muovo a Renzi e alla sua legge di bilancio non cancellano in alcun modo le responsabilità di altri in passato (centrodestra incluso). Rispetto ai tre cancri italiani (tasse-spesa-debito), hanno fatto fallimento tutte le formule politiche degli ultimi quindici anni: vecchio centrosinistra, vecchio centrodestra, governi tecnici. Quindi, sospendiamo il giochino sterile del “dove eravate voi” o della reciproca colpevolizzazione. Nessuno è in grado di scagliare la prima pietra. Al limite, anziché “scagliare” alcunché, occorre proporre idee in positivo.

Purtroppo, la legge di bilancio di Renzi si inserisce nella peggiore tradizione italiana.

Da un lato, gli specchietti per le allodole.  La chiusura di Equitalia, senza spiegare bene cosa verrà dopo. Chiariamolo subito: il problema non è il soggetto della riscossione, ma le regole della riscossione (e l’unico a modificarle a favore del contribuente – non dispiaccia – è stato chi scrive qui, come presidente della Commissione finanze tra il 2013 e il 2015: determinando l’impignorabilità della prima e della seconda casa, oltre che dei mezzi di produzione aziendali). Se tieni le stesse regole, il soggetto può anche chiamarsi “Giovanni” o “Francesco”, anziché “Equitalia”: ma ovviamente non cambia nulla. E se per caso (come sento dire) l’idea è quella di incorporare Equitalia dentro l’Agenzia delle entrate, può essere una soluzione peggiore del male: crei un unico moloch, responsabile di accertamento e riscossione, verso il quale il contribuente sarà ancora più disarmato.

Il piano Calenda, che in realtà stanzia una enorme massa di denaro (sempre a spese del contribuente) secondo una logica di “pianificazione” e “sussidi” che poco ha a che fare con la logica liberale “meno tasse, meno spesa”.

I taglietti di tasse sono impercettibili: circa 4 miliardi (essenzialmente una mini-riduzione Ires e un po’ di altri interventi minori): ma 4 miliardi sono lo 0,25 per cento del pil. Chi se ne accorge? Non ci sarà alcuna ricaduta positiva tangibile nell’economia reale: troppo modesta l’entità dell’intervento.

Dall’altro, lo spiedo per i tordi. Cioè la dura realtà, al netto di chiacchiere e promesse: il grosso della manovra (15-16 miliardi) è in deficit.

I tagli di spesa sono ridotti a meno di 5 miliardi (meno di 1/5 della manovra) e servono a coprire “parzialmente!” altra e maggiore spesa pubblica. La spending review è quindi sostanzialmente desaparecida.

Le metastasi delle clausole di salvaguardia vengono spostate in avanti, pregiudicando i prossimi anni.

Quel tanto di risorse esistenti saranno ancora una volta bruciate (per tacitare il vecchio sindacato) in pensioni, buco nero della sanità pubblica e statali.

Se guardiamo l’andamento di spesa e entrate (numeri alla mano: gli unici leggibili sono quelli del Def, perché nella presentazione della legge di stabilità c’erano le slides ma non tabelline con cifre), c’è da mettersi le mani nei capelli: altro che tagli di tasse e tagli di spesa, la tendenza è opposta! La spesa corrente al netto degli interessi (635 mld nel 2015) arriverà a 726 mld nel 2019, mentre le entrate (777 mld nel 2014) arriveranno a 846 mld nel 2019!
Insomma, si prosegue sulla linea di sempre: più tasse, più spesa, più debito. Sembra un governo balneare degli anni ’80. Renzi sta rottamando se stesso, oltre che l’Italia (già rottamata da tanti in passato). Per favore, smettiamola di raccontare che questo governo segni una discontinuità rispetto ai vizi del passato. Altro che “cambiare verso”: è lo stesso verso di sempre.

Ps: un paio di “dettagli” (si fa per dire). A gennaio, segnate sul calendario l’esplosione della bomba-Mps (con 50-60 mila obbligazionisti subordinati sul lastrico). E, sempre nel 2017, segnate sul calendario il rialzo dei tassi, con un evidente effetto di soffocamento rispetto alle nostre emissioni di titoli. Ma politica e media preferiscono parlare di referendum e legge elettorale, vero?

×

Iscriviti alla newsletter