In qualche settimana, forse in due mesi – come affermato da un generale dei peshmerga curdi – Mosul verrà conquistata. Alla caduta della città seguirà quella di Raqqa, la capitale dello Stato islamico in Siria. Si determineranno nuove crisi umanitarie, anche se la coalizione a guida americana cercherà di evitare le stragi compiute ad Aleppo dalle aeronautiche siriana e russa. E’ probabile che la polemica fra Washington e Mosca si centrerà sul livello di violenza e sul fatto che, mentre gli Usa bombardano l’Isis, la Russia bombarda gli insorti sunniti, per mantenere Assad al potere.
Dai primi combattimenti nei villaggi che circondano le periferie di Mosul sembra che l’Isis resisterà a oltranza, utilizzando le tattiche di guerra urbana e il fanatismo dei suoi combattenti. La popolazione di Mosul cercherà di rifugiarsi nella regione curda. Sfiderà il divieto dell’Isis di abbandonare la città, per usare i civili come scudi umani. Ma il peggio verrà dopo la conquista della città. Sono probabili dure rappresaglie, come quelle già verificatesi a Ticrit, Falluja e Ramadi. I sunniti saranno accusati di collaborazionismo con l’Isis, fatto in parte certamente vero. A poco varrà il divieto, fatto dal premier iracheno Haider al-Abadi alle milizie sciite e curde, di entrare nella città. L’esercito e la polizia irachena non dispongono degli effettivi necessari né per conquistarla nè per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica dopo la cacciata delle forze dell’Isis.
Taluni esperti avevano valutato che era probabile che l’Isis cercasse di salvare i suoi miliziani più agguerriti schierati a Mosul. La loro previsione era stata suffragata dal fatto che Dabiq era stata occupata dagli insorti siriani appoggiati dalla Turchia, praticamente senza resistenza da parte dell’Isis, malgrado il suo elevato valore simbolico per il Califfato. A Dabiq infatti sarebbe dovuto avvenire, secondo una profezia di Maometto, fatta propria da al-Baghdadi, la vittoria definitiva fra l’esercito dell’Islam e quello di Roma. Con essa avrebbe avuto inizio l’”Apocalisse” e l’avvento del regno di Allah.
Si ipotizzava che la stessa cosa potesse accadere a Mosul. Contrariamente a tale previsione sembra che i 4-7.000 miliziani asserragliati nella città intendano resistere a oltranza. Si batteranno quindi da leoni nelle rovine della città, come stanno facendo gli insorti siriani ad Aleppo. Buona notizia per l’Europa. Abbiamo interesse all’eliminazione del maggior numero di miliziani possibile, per diminuire il rischio terroristico da noi. Dopo le sconfitte subite, l’Isis dovrà cambiare strategia, trasformandosi in una rete immersa nella popolazione, simile ad al-Qaeda. Farà in pratica quello che fecero i talebani in Afghanistan nel 2001. Cercherà di approfittare in Medio Oriente dal fatto che, dopo la caduta di Mosul e di Raqqa, si aprirà un vaso di Pandora di nuovi conflitti tra i vincitori del Califfato. Fra arabi, sia sunniti che sciiti, e curdi iracheni, che vogliono riprendersi le terre della provincia di Niniveh, da cui erano stati cacciati dalla politica di “arabizzazione” di Saddam Hussein. Tra l’Iraq e la Turchia, che non ha rinunciato al neo-ottomanesimo, alle sue tradizionali rivendicazioni su Mosul e alla leadership del mondo sunnita. Tra sciiti e sunniti, sia arabi che turkmeni. I primi, appoggiati da Teheran e da Baghdad intendono vendicarsi del duro regime sunnita che li ha dominati per secoli. Il conflitto potrebbe estendersi a un confronto fra il composito blocco sunnita, di cui Arabia Saudita, Turchia e Egitto rivendicano la leadership, e quello sciita, più unitario e a guida iraniana.
Insomma la vittoria sul Califfato non porterà la pace in Medio Oriente. L’Isis scomparirà come proto-stato. Ma non cesserà di esistere. Muterà la sua strategia, rimanendo però fedele alla sua escatologia apocalittica, peraltro condivisa da al-Qaeda. La scomparsa di un nemico comune determinerà contrasti, forse conflitti, fra i membri della coalizione che sta attaccando Mosul. Le loro rivalità potranno esplodere e provocare l’intervento diretto delle potenze regionali. Finora si sono confrontati per procura, facendo combattere i loro protetti in Iraq e in Siria.
Gli Usa hanno già dichiarato che sono interessati solo alla distruzione dell’Isis. Non intendono coinvolgersi nella stabilizzazione di Iraq e Siria. Penso però che non potranno disimpegnarsi dal Medio Oriente. La Russia sta alla finestra. E’ interessata al mantenimento del regime di Assad. Non intende inimicarsi né la Turchia né l’Iran. E’ certamente condizionata dal fatto che i suoi musulmani sono sunniti, opposti all’appoggio che Putin dà allo sciita Assad e all’Iran. Deve anche tener conto che molti foreign fighters dell’Isis sono ceceni, caucasici e centroasiatici. Il loro ritorno aumenterebbe per Mosca il pericolo terroristico. Verosimilmente Putin attribuisce minore importanza a quest’ultimo rispetto alla presenza russa in Siria. Se non fosse così, darebbe una mano agli Usa per distruggere l’Isis. Non tutti gli italiani se ne sono ancora accorti!