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Come reagisce Isis alla campagna su Mosul

Una cellula clandestina dello Stato islamico ha sferrato un attacco a Kirkuk, una città che si trova nel nord dell’Iraq a circa 170 chilometri da Mosul, la capitale del Califfato, oggetto in questi giorni di una potente offensiva dell’eterogenea coalizione che si è presa l’incarico di combattere i jihadisti. Venerdì mattina decine di baghdadisti sono arrivati a bordo di veicoli da combattimento dirigendosi verso diversi edifici delle forze di sicurezza locali e su una centrale elettrica nella fascia periferica settentrionale di Kirkuk. Ci sono stati diversi morti tra i poliziotti Pesh e tra i lavoratori della centrale, pure un giornalista iracheno è stato centrato da un cecchino. L’azione ha ricordato quello successo nell’estate del 2014, quando il gruppo guidato da Abu Bakr al Baghdadi cercò di prenderne il controllo. In quell’occasione i Peshmerga curdi fecero una scelta: davanti all’opzione se coprire Mosul o scendere fino a Kirkuk, decisero per quest’ultima, perché Kirkuk è il petrolio dei curdi. C’è una rivendicazione ancestrale su quelle vie – anche se formalmente l’amministrazione cittadina è del governo centrale – e da due anni sono proprio i curdi a controllarla, dopo averla difesa dall’assalto dell’IS. Anche venerdì mattina le forze di sicurezza dei Peshmerga hanno agito con prontezza e difeso la città dall’attacco dei mujhaeddin di Baghdadi.

UN PROMEMORIA

L’azione a Kirkuk è stata “un potente promemoria”, ha scritto Tim Arango sul New York Times, delle capacità che ha l’IS in Iraq. I baghdadisti infatti, nonostante siano concentrati sulla difesa della loro capitale, restano comunque in grado di azioni diversive e contrattacchi attraverso i network clandestini che sono in piedi anche nelle città dove l’infestazione militarista califfale dovrebbe essere stata ripulita. E questo è uno scenario che tra le varie valutazioni sulla capacità controffensiva del Califfato va valutato in primo piano. Si parla continuamente delle trappole esplosive con cui lo Stato islamico ha infestato le strade che conducono a Mosul, e quelle cittadine: in una di queste giovedì è incappato l’Humvee in cui viaggiava un soldato americano, il primo morto statunitense dell’offensiva. Oppure molta attenzione è stata attirata dalla possibilità che i comandanti del Califfo diano ordini di usare armi chimiche: non si tratta di materiali sofisticati, ma di bombe sporcate con quello che viene definito gas mostarda, un gas vescicante che crea difficoltà respiratorie e che secondo gli analisti militari dell’esercito americano è stato usato già per arricchire un colpo di mortaio che ha colpito una base di fuoco americano impostata a Qayyarah, a sud di Mosul. O ancora, delle autobomba: il reporter embedded con le forze speciali irachene dell’inglese Itv News ha raccontato nel suo servizio che il convoglio su cui viaggiava è stato colpito per quattro volte nello stesso giorno dai cosiddetti Vbied, acronimo inglese di vehicle-borne improvised explosive device, ossia autobomba.

DOPO L’OFFENSIVA

Quello successo a Kirkuk è un quadro diverso, perché se questi strumenti sono la risposta tattica alla guerra, quella vista nella città curda potrebbe essere la strategia futura. Micheal Knights, un analista che dagli anni Novanta si occupa di Iraq e collabora con diverse testate, ha scritto su Twitter che quello a Kirkuk “non deve essere considerata un contrattacco in senso vero”, ma è un’operazione di distrazione narrativa che il gruppo utilizza per deviare l’attenzione dal fatto che non è e non sarà in grado di fermare l’avanzata su Mosul. “La crociata su Ninive ha un inizio scadente”(dove Ninive è la provincia di Mosul) titola al Naaba la rivista settimanale in arabo dell’organizzazione di Baghdadi, cercando di minimizzare i fatti – fondamentale questo genere di revisionismo per una realtà come l’IS che vive di propaganda e proselitismo. Questa situazione però sposta il ragionamento a quello che sarà dopo la conquista di Mosul, quando il gruppo potrebbe anche venir meno dal punto di vista statuale e trasformarsi nuovamente in quella realtà terroristica clandestina, che il giornalista del Foglio Daniele Raineri descrive come “quell’entità sfuggente a metà tra l’infestazione mafiosa e il gruppo militare che controllava di fatto Mosul anche prima di conquistarla nel giugno 2014”. A quel punto, quando Mosul non sarà più la capitale de facto dello Stato islamico, il gruppo tornerà a muoversi attraverso cellule clandestine che possono lanciare azioni simili a quelle su Kirkuk o compiere attentati (nei prossimi giorni la possibilità di stragi a Baghdad come dimostrazione di forza è alta): “Questa seconda battaglia per Mosul dovrebbe avere l’obiettivo di impedire la sopravvivenza anche underground dello Stato islamico, ma del futuro oltre le poche settimane nessuno parla”, chiosa Raineri. Il ruolo centrale sarà giocato dagli abitanti, che sono per lo più sunniti (come è sunnita il Califfo), che dovranno isolare le sacche sommerse e residuali dei baghdadisti, e dal governo, filo-sciita, che dovrà aver un comportamento inclusivo verso la maggioranza non-governativa.

(Foto: Youtube, un Humvee delle forze speciali irachene)


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