“L’attitudine umana più vicina alla grazia di Dio è l’umorismo”. La sintesi dell’incontro di Papa Francesco coi confratelli la regala con un leak da un tweet sfuggito Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, che riferisce di una battuta, detta a braccio, del primo Papa gesuita alla Congregazione generale dei suoi confratelli. Nella trascrizione ufficiale dell’intervento pubblicato dalla sala stampa della Santa Sede quelle parole non ci sono. Eppure sintetizzano un discorso di 30 minuti che ha per Bergoglio un unico comune denominatore: i gesuiti devono essere missionari, servitori della gioia. Tra le parole del Papa – il primo del Sudamerica – davanti agli oltre 200 delegati di un ordine di 16mila uomini – e al venezuelano neo eletto “Papa nero”, Arturo Sosa (nella foto) – primo generale della Congregazione dal Sudamerica – c’è spazio anche per una chiara riabilitazione di padre Arrupe, e per un incoraggiamento nell’addestrarsi nel difficile mestiere delle armi: quello del discernimento. Il campo di battaglia più caro a Papa Francesco. Tra un rigo e l’altro, una frecciatina sul servizio: non solo grande elaborazione intellettuale di fronte alle sfide del mondo – in cui i gesuiti sono maestri – ma prima di tutto farsi prossimo. Fino al passare la scopa sul pavimento. Quello che padre Bergoglio nei suoi tempi argentini faceva.
È la prima volta che un Papa gesuita parla ai gesuiti riuniti in Congregazione generale. Un avvenimento, perché in 500 anni di storia della Compagnia, quella del 2016 è appena la 36esima convocazione mondiale dei padri. Per la prima volta è il Papa ad andare dai gesuiti, non viceversa. Si è presentato alla Casa generalizia di Borgo Santo Spirito – poche centinaia di metri dal Vaticano – di buon’ora, lunedì mattina. Stupisce che un primo comunicato dei gesuiti abbia derubricato l’incontro a un “come d’abitudine”, che così non è: vero che la Compagnia incontra sempre il Papa nel corso della sua Congregazione generale, ma solitamente sono i gesuiti, a quasi conclusione del loro non frequente incontro mondiale e dopo l’elezione del successore di sant’Ignazio, ad andare in Vaticano. Non viceversa.
Bergoglio ha trascorso più di tre ore presso la Casa generale della Compagnia, compreso il tempo dedicato a una “conversazione privata”, come riferisce l’ufficio stampa del Vaticano. Visita inaspettata. E mentre al mattino ha stretto la mano al venezuelano Generale dei gesuiti Sosa, poche ore dopo Bergoglio ha ricevuto in Vaticano il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro. Nel colloquio, la delicata situazione del Paese. Sceso dalla solita utilitaria, Francesco ha pregato coi confratelli; poi, come fa un padre in casa dopo cena quando vuole dire qualcosa di importante ai figli, braccia conserte ben piantate sul tavolo, ha parlato. Discorso scritto e ben scandito in spagnolo, con rare divagazioni oltre il testo.
Punto fondamentale: “Il gesuita è un servitore della gioia del Vangelo”. Citando le parole del predecessore Benedetto, Francesco ha ricordato ai gesuiti che “la Chiesa ha bisogno di voi, per raggiungere luoghi fisici e spirituali dove altri non arrivano o hanno difficoltà ad arrivare”. Diventare protagonisti di quella gioia nelle periferie, più morali che geografiche, è la consegna del Papa villero a ciascun gesuita, “sia quando lavora artigianalmente conversando e dando gli esercizi spirituali a una sola persona … sia quando lavora in maniera strutturata”.
E quando ci sono problemi? La fatica del logorante accudire e di tutte le possibili “molestias” quotidiane? “Da Ignazio impariamo che non sono un ostacolo”. L’ostacolo è quello che pone un limite alla misericordia: “Le opere di misericordia, la cura dei malati negli ospedali, l’elemosina mendicata e distribuita, l’insegnamento ai piccoli, il sopportare pazientemente le molestie, erano l’ambiente vitale in cui Ignazio e i primi compagni si muovevano ed esistevano, il loro pane quotidiano. Stavano attenti che tutto il resto non fosse di ostacolo”. Una misericordia “che noi a volte diluiamo con formulazioni astratte e condizioni legalistiche”.
A una settimana dal cruciale viaggio in Svezia per i 500 anni della Riforma luterana – quei protestanti che sono stati il primo campo di missione per i gesuiti – Francesco dà qualche indicazione del suo possibile argomentare in Scandinavia: “Questa grazia di discernere che non basta pensare, fare o organizzare il bene, ma bisogna compierlo con buon spirito, è quello che ci radica nella Chiesa … Fabro diceva che in molte cose coloro i quali volevano riformare la Chiesa avevano ragione, però Dio non voleva correggerla con i loro metodi”.
Dei tre punti del discorso di Bergoglio ai confratelli, non va tralasciato un passaggio: “Fare il bene di buon animo, sentendo con la Chiesa”. Aiutare il prossimo e camminare, “non clericali ma ecclesiali”. Avverte: “Noi non camminiamo da soli o in modo confortevole, ma camminiamo con un cuore che non poggia, che non si chiude in se stesso, ma batte al ritmo di un viaggio intrapreso insieme a tutti i fedeli a Dio”. “Le regole sentire con la Chiesa non le leggiamo come istruzioni precise su punti controversi (qualcuno potrebbe risultare estemporaneo), ma come esempi dove Ignazio invitava nel suo tempo ad agire contro lo spirito antiecclesiale, inclinandosi totalmente e decisamente dal lato della nostra Madre, la Chiesa, non per giustificare una posizione discutibile, ma per aprire uno spazio in cui lo Spirito avrebbe potuto agire a suo tempo”.
Eccolo squadernato il Bergoglio pensiero. Per lui, quel che conta è “lasciare lo spazio” allo Spirito. Anche se può sembrare “una posizione discutibile”. Come diceva il padre Arrupe – ha ricordato l’ex arcivescovo di Buenos Aires – dove c’è un dolore, là c’è la Compagnia.