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Vi racconto il triste inseguimento berlusconiano dei grillini nella demagogia anti-casta

Fra le poche soddisfazioni riservategli dall’ultima trasferta a Roma, dove i suoi non sono stati capaci di riempirgli la piazza di Montecitorio per festeggiare il rumoroso, per quanto fallito assalto alle indennità parlamentari, Beppe Grillo ha trovato particolarmente apprezzabile il voto del gruppo forzista capeggiato da Renato Brunetta contro il rinvio della proposta di legge pentastellata in commissione. Apprezzabile, come il voto dei leghisti e dei fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, per due motivi. Primo, perché così non si è infranto nell’aula della Camera il fronte pur brancaleonesco del no referendario alla riforma costituzionale, sbandierata come occasione di risparmio dei costi della politica ma contraddetta, secondo i grillini, dal rifiuto di dimezzare subito l’indennità degli onorevoli. Secondo, perché il fidato Alessandro Di Battista, detto anche il Che Guevara di Trastevere per l’abitudine di girare in moto, ha potuto risparmiare una volta tanto ai berlusconiani, salviniani e meloniani la qualifica di “gentaglia” gridata al resto della Camera, cioè alla maggioranza.

Grillo è rimasto così piacevolmente sorpreso dalla coerenza, secondo lui, dei pur tanto odiati berlusconiani che, quando gli è capitato nei corridoi di Montecitorio di incrociare Brunetta, poco è mancato che non l’abbracciasse. Secondo testimoni che spero non abbiano scambiato lucciole per lanterne, il comico genovese si sarebbe fatto piccolo piccolo per mettersi all’altezza del capogruppo forzista. E lo ha salutato con una cordialità tale da far morire d’invidia gli accompagnatori pentastellati, abituati ad essere da lui più strapazzati che lusingati, un po’ come, d’altronde, Brunetta fa con i suoi.

È insomma caduto quella sera un altro muro: quello forse distrattamente alzato da Silvio Berlusconi qualche tempo fa lasciandosi scappare un paragone fra la furia comiziesca di Grillo e quella di un tale Adolf Hitler. Il comico reagì dandogli del “nano” e ammonendolo che sarebbe arrivato presto il momento di “tirare le somme” con lui. Somme, ora, quanto meno rinviate.

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L’inseguimento dei grillini da parte dei forzisti sulla strada scivolosa della demagogia anti-casta mi fa tornare alla mente quell’inviato di uno dei telegiornali dell’allora Fininvest in una postazione fissa davanti al Palazzo di Giustizia di Milano negli “anni del terrore”, come Mattia Feltri ha definito robespierramente in un apprezzabilissimo libro rievocativo quelli delle indagini della Procura ambrosiana sul finanziamento illegale, e diffusissimo, dei partiti.

Quell’inviato, poi preso da altre vocazioni, diciamo così, più spirituali, era lì, poveretto, ogni giorno, sotto il sole o la pioggia, disturbato solo dai tram che gli sferragliavano alle spalle, per annunciare più o meno trionfalmente quanti pesci, grandi e piccoli, fossero caduti nelle reti degli inquirenti, e quanti stessero per finirvi entro il prossimo collegamento.

Una volta me ne lamentai con un alto dirigente, chiamiamolo così, del gruppo del Biscione. Che mi riferì il giorno dopo una risposta che spero ancora attribuita arbitrariamente a Silvio Berlusconi in persona. Mi fu “spiegato”, in particolare, che, già sotto schiaffo mediatico per la sua nota amicizia col cinghialone cui i magistrati davano già la caccia, cioè Bettino Craxi, il maggiore editore della televisione privata italiana non se la sentiva di sacrificare l’informazione, peraltro togliendo insieme popolarità e pubblicità alle sue reti.

Rimasi basito per quel ricorso al carattere necessariamente “popolare” che doveva avere un telegiornale alle prese con la cronaca giudiziaria. Ero troppo abituato all’uso strumentale di quell’aggettivo fatto per anni dal comunismo internazionale definendo così le sue presunte democrazie, per non allarmarmi di quel che poteva accadere in Italia appiattendosi per paura o opportunismo sul clima giustizialista e manettaro che stava consolidandosi.

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Non ricordo più, francamente, se dopo qualche mese o anno da quell’episodio, ma fu proprio un giornalista di una importante testata televisiva del Biscione che scrisse e piazzò nelle librerie italiane la prima biografia a dir poco compiacente di Antonio Di Pietro, il magistrato ormai simbolo delle inchieste sulle tangenti. Che non a caso, d’altronde, accreditato soprattutto dalla destra missina alleatasi con Forza Italia nelle elezioni del 1994, fu inutilmente invitato da Berlusconi in persona ad entrare nel suo primo governo come ministro dell’Interno. Era lo stesso Di Pietro, non un sosia, che alla fine di quel medesimo anno, secondo una deposizione giudiziaria di Francesco Saverio Borrelli a Brescia, si sarebbe offerto allo stesso Borrelli, suo superiore, per offrirsi a “sfasciare” Berlusconi interrogandolo come indagato per corruzione. L’avviso a comparire era appena stato notificato all’allora presidente del Consiglio in qualche modo a mezzo stampa mentre presiedeva a Napoli una conferenza dell’Onu sulla lotta internazionale alla malavita organizzata.

Si fa presto in politica, ma forse non solo in politica, a sbagliare inseguimenti, diventando da inseguitore a inseguito, da cacciatore a preda. È’ un infortunio nel quale molti potrebbero incorrere anche in questa troppo lunga e pasticciata campagna referendaria sulla riforma costituzionale.

Quanto meno del clima di questo referendum pare che Berlusconi abbia appena parlato con Sergio Mattarella andandolo a trovare al Quirinale per ringraziarlo dell’interessamento mostrato per la sua salute e degli auguri genetliaci ricevuti il mese scorso.

I soliti, immancabili maliziosi hanno attribuito sui giornali all’ex presidente del Consiglio l’offerta al presidente della Repubblica della sua disponibilità a favorire una soluzione della crisi di governo, anche con Matteo Renzi, nel caso di una bocciatura referendaria della riforma costituzionale.

Ma quel guastafeste di Massimo Cacciari, per non dargli del menagramo, come fece una volta un altro Massimo, naturalmente D’Alema, ha appena profetizzato che dopo il referendum, chiunque vincerà, “Berlusconi non avrà alcun ruolo”. “ E’ semplice”, ha aggiunto apoditticamente.


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