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Cosa farà (e cosa deve fare) Saipem

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I social network permettono di comunicare opinioni, gusti, desideri in tempo reale nella grande rete dell’informazione moderna. Hanno anche una straordinaria memoria facendo riaffiorare date, ricorrenze eventi ed interventi del passato. Una memoria salutare per permetterci di ricordare un compleanno, per riassaporare un ricordo, per fare il punto di una particolare situazione.

Proprio di questi giorni, inesorabile Facebook mi ha fatto riemergere un mio giudizio quando lo scorso anno commentavo positivamente “la decisione del governo di intervenire con la Cassa depositi e prestiti, entrata nel capitale sociale utilizzando le risorse del Fondo strategico italiano” nel capitale sociale di Saipem. Ma tale decisione lasciava la porta aperta come ad una grande sfida. Proprio in questi giorni è stato approvato il piano strategico di Saipem che prevede una riorganizzazione in cinque divisioni e ulteriori tagli.

La premessa al piano strategico di Saipem al 2020 approvato non può non evidenziare da parte del board il contesto di mercato ancora molto debole e con le prospettive di recupero spostate nel tempo rispetto a quanto precedentemente prospettato.

Nonostante questo, i risultati operativi vengono definiti dall’ad, Stefano Cao “incoraggianti e in linea con le aspettative”. Lasciamoci allora alle spalle un anno difficile che ha lasciato una perdita netta di circa 2 miliardi dopo svalutazioni per circa 2 miliardi, e altri dati che si leggono. I ricavi sono scesi del 6.6%.  Guardiamo avanti, e ad un 2017 con una previsione di 10 miliardi di ricavi. Occorre essere positivi soprattutto quando si presenta un nuovo piano con un riassetto interno attorno a cinque divisioni (costruzioni offshore, costruzioni onshore, drilling offshore, drilling offshore, servizi di ingegneria ad alto valore aggiunto) e che prevede 800 tagli al personale in Europa.

Proprio un anno fa ma ancor più oggi mi sento di dire che “Saipem resta un asset del Paese”, del resto – l’ingresso di CdP nel capitale lo testimoniava a detta di tutti –

Il punto è: dove si taglia ulteriormente? Perché se i grandi risparmi sono per esempio quelli di non rinnovare contratti a tempo determinato di centinaia di giovani che a trenta anni e con una laurea d’ingegneria in tasca escono da una società come Saipem, si avrà un beneficio sul piano finanziario ma si perderà una fucina di manager e di maestranze di livello mondiale.

In questo senso andavano le considerazioni che fece il capo divisione per le tecnologie di Shell, durante il convegno a Firenze, presso la Nuovo Pignone, cui partecipò anche il Presidente, Matteo Renzi lo scorso febbraio. “L’industria dell’oil&gas ha bisogno di un nuovo rinascimento, disse Harry Brekelmans. Durante l’incontro risultò che “…intervenire sui costi tagliando posti di lavoro e investimenti per tutelare i profitti degli azionisti non è una strategia vincente, ma è servito solo a trasformare l’industria petrolifera in un gigantesco no profit”, come riportò ironicamente nella sua sintesi l’Economist.

Proprio tra pochi giorni si terrà a Firenze la Leopolda numero 7 a cui parteciperà proprio Renzi che sta giustamente facendo una battaglia contro l’austerity europea. A mio parere occorre una battaglia contro l’austerity anche nelle politiche industriali delle nostre società per affermare “che intervenire sui costi tagliando posti di lavoro e investimenti per tutelare i profitti degli azionisti non è una strategia vincente”. Partiamo a far rinunciare qualcosa – anche poco – agli azionisti, al board, ecc.


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