Inizia oggi il breve e intenso viaggio di Papa Francesco in Svezia. Si tratta di un passo storico nel cammino di riavvicinamento tra la Chiesa Cattolica e la principale confessione protestante.
L’occasione concreta è offerta dalla commemorazione di Martin Lutero, figura principale della Riforma e iniziatore di quel processo di separazione da Roma che ha contraddistinto, a partire dal XVI secolo, il più imponente e rilevante scisma del Cristianesimo europeo.
Non è facile pertanto cogliere fino in fondo il rilievo che assume anche e soprattutto all’interno del magistero di Bergoglio questa apertura. Due punti sono essenziali.
Il primo riguarda il significato che oggi acquisisce la protesta di Lutero verso la corruzione della Chiesa che, come ben sappiamo, è stato fin dal principio uno dei motivi chiave di questo pontificato.
La Chiesa è un’istituzione divina affidata agli uomini. Perciò necessita sempre di essere sorvegliata, risvegliata e riformata al cospetto della verità e della tradizione. In questo senso va valutata a distanza la volontà di Lutero, ben distinta, con tutta evidenza, dagli esiti scissionisti e rivoluzionari assunti in seguito dal protestantesimo.
Insomma lo scisma è stata una tragedia anche politica, oltre che religiosa, ma l’invettiva di Lutero contro le piaghe della Chiesa aveva, specialmente allora, un suo perché è una motivazione indiscutibile.
Il secondo aspetto riguarda il nostro oggi. L’Europa, sempre più divisa e smarrita, vive un radicale processo di secolarizzazione irreligiosa che, unita al pericolo del fondamentalismo islamico, spinge il Cristianesimo nel suo insieme a ritrovare il nucleo essenziale e condiviso della fede originaria.
Francesco interpreta così l’ecumenismo: uno sforzo spirituale e morale per ritrovare il senso religioso di una fede personale che si regge sul popolo che vive e non sulla gerarchia che comanda.
D’altronde le differenze tra Cattolici e Luterani restano sostanziali, sebbene sullo sfondo.
Il valore costitutivo dei sacramenti, ivi compreso quello dell’Ordine, e l’importanza non solo carismatica ma costitutiva del Papa come guida della Chiesa, nonché la funzione sistematica e magisterale della teologia, non sono aspetti suscettibili di modifiche o di accostamenti facili al Protestantesimo.
La Chiesa insomma, come diceva Gregorio VII, si riforma per essere migliore e più libera, e non per stravolgersi divenendo una comunità di preghiera fine a se stessa senza legami giuridici.
Questa tappa ecumenica, in fin dei conti, crea le condizioni di unità senza ovviamente cancellare le rispettive identità che sono e resteranno tali e importanti nel quadro di una cristianità che cammina nel tempo e nella storia verso il fine eterno.