“Tu che cerchi il martirio comincia le tue azioni”. E’ uno degli inviti alla resistenza che il Califfo Abu Bakr al Baghdadi ha rivolto ai suoi uomini in un audio di trentadue minuti uscito nella notte tra mercoledì e giovedì. Il capo dello Stato islamico era quasi un anno che non parlava (l’ultima registrazione è stata diffusa nel dicembre del 2015), e il fatto che il messaggio arrivi adesso può essere indicativo della necessità, della difficoltà dell’Isis che cerca di serrare i ranghi e spingere sulla propaganda per cercare rinforzi e motivazioni. Perché la campagna su Mosul procede spedita, e contemporaneamente il Califfato sta perdendo terreno sulla strade per Raqqa, la roccaforte siriana che dovrebbe essere oggetto a breve di un’offensiva potente tanto quanto quella lanciata sulla capitale irachena.
L’AUDIO
Baghdadi non ha menzionato direttamente Mosul, però ha fatto riferimento a Ninive, che è la provincia di cui la città al centro della più grande offensiva lanciata finora dalle forze della Coalizione anti-Isis è capoluogo. Non è chiaro comunque a quando la registrazione risalga: l’assenza di riferimenti alla campagna contro la città simbolo del Califfato, da dove proprio Baghdadi apparve per proclamare lo Stato islamico nel giugno 2014 (e probabilmente nel suo hinterland è nascosto), può essere indicativa. Forse la registrazione è precedente alle ultime due settimane (la campagna su Mosul è iniziata il 17 ottobre), preparata e da diffondere al momento opportuno. Un segnale che comunque data l’audio come abbastanza recente è la presenza di un passaggio in cui il Califfo cita la morte di Abu Mohammed al Adnani – portavoce del gruppo e capo delle operazioni clandestine in tutto il mondo – ucciso il 30 agosto, e Wa’il Adil Hasan Salman al-Fayad – noto anche come Abu Mohammed Furqani, ministro dell’Informazioni (per semplificare) – che è stato invece ucciso il 30 settembre; entrambi sono stati eliminati da attacchi aerei americani. Oppure è possibile che Baghdadi non abbia menzionato l’offensiva alleata su Mosul per sotto dimensionarla, farla passare cioè come qualcosa di marginale e non dover perdere credibilità agli occhi dei proseliti in caso di sconfitta (che sarà non immediata, ma quasi certa).
IL MESSAGGIO
Baghdadi ha invitato “i fedeli” a colpire gli sciiti (apostati alleati dell’Occidente, e il riferimento potrebbe andare alle milizie/partito che combattono al fianco del governo di Baghdad, agli iraniani che muovono quelle milizie, e all’esercito iracheno che ha quasi esclusività confessionale sciita). Poi la Turchia e l’Arabia Saudita, paesi che sono invece a stragrande maggioranza sunnita, ma colpevoli di essere allineati con l’Occidente. “Scatenate il fuoco della vostra rabbia sulle truppe turche in Siria”, dice il Califfo. Ankara ha inviato nel nord del territorio siriano un gruppo di militanti fedeli e addestrati, sostenuti da forze speciali e mezzi militari, per liberare l’area dalla presenza dello Stato islamico (e dalle ambizioni curde); probabilmente anche queste unità combattenti avranno un ruolo nell’offensiva su Raqqa, intanto hanno conquistato loro Dabiq, la città che secondo una predizione epica doveva essere il luogo di una battaglia apocalittica contro l’esercito infernale degli infedeli, e che invece è caduta in meno di due giorni con i baghdadisti in fuga. Contemporaneamente la Turchia sta anche lavorando in Iraq, dove ha preparato un altro contingente di combattenti sunniti locali con l’intenzione di partecipare, da nord, alla campagna su Mosul. Per quanto riguarda i Saud, la famiglia regnante saudita, è da tempo al centro del mirino della narrativa d’odio dello Stato islamico: la colpa, svendere l’Islam – di cui sono numi tutelari in quanto preservano i luoghi sacri – all’Occidente, agli infedeli. L’invito è compiere attacchi all’esterno delle zone califfali come proiezione di forza, già usata in altre situazioni in cui il Califfato è apparso in difficoltà: l’obiettivo è duplice, colpire i nemici e fomentare i proseliti. Baghdadi a questi ha chiesto anche di non raggiungere la Siria e l’Iraq, ma di unirsi nella “guerra totale”, il “grande jihad”, differentemente (una strategia non nuova): per esempio andando in Libia, paese considerato da tempo la terza opzione califfale, anche se là i baghdadisti sono stati praticamente privati di ogni fascia di controllo statuale e pochi mujaheddin, esaltati dalla narrativa del Califfo, combattono ormai in un’area di un chilometro quadrato a est di Sirte. Però preservano, con ogni probabilità, una diffusione clandestina all’interno del paese nordafricano con prolungamenti in tutta la regione. La fine della realtà statuale e l’inizio di una nuova fase di guerriglia insurrezionale (simile a quella irachena di dieci anni fa, però su una scala che non coinvolge solo l’Iraq, ma anche la Libia e altri paesi africani, o l’Afghanistan per esempio) è da tempo considerata una possibilità per il futuro dell’IS.