Helene Cooper è corrispondente al Pentagono per il New York Times. Per lo stesso giornale è stata corrispondente alla Casa Bianca. Nel 2015, ha fatto parte del team di giornalisti vincitori del Premio Pulitzer per i reportage in Liberia durante l’epidemia di Ebola. Nello stesso anno ha vinto il premio George Polk e l’Overseas Press Club Award. La sua conoscenza delle dinamiche interne al Pentagono rappresenta un riferimento prezioso per capire in che modo si sta evolvendo la guerra contro lo Stato Islamico.
Qual è la sua opinione circa le operazioni condotte dai militari americani per riprendere la città di Mosul? Possiamo affermare che lo Stato islamico sta per essere sconfitto?
Senza dubbio lo Stato islamico è prossimo a perdere quasi tutto il territorio che aveva conquistato in Iraq. Il Pentagono ritiene che le operazioni per liberare Mosul stiano rispettando la tabella di marcia. Le forze di sicurezza irachene hanno oltrepassato il segnale “Welcome to Mosul” che indica l’ingresso in città dalla parte est. Gradualmente stanno avanzando anche da sud-ovest. Quando Mosul sarà riconquistata, lo Stato islamico non avrà più grandi città in Iraq sotto il proprio controllo. Ciò non significa che il gruppo terrorista sia totalmente sconfitto. L’Isis continua ad avere simpatizzanti e seguaci in tutto il mondo.
Qual è la preoccupazione maggiore della comunità dell’intelligence americana sul futuro della Regione? Quale evoluzione dobbiamo aspettarci dopo la cacciata dello Stato islamico da Mosul?
Penso che la gestione dell’Iraq continuerà a rappresentare un’incognita anche dopo la riconquista di Mosul, poiché il governo iracheno deve ancora fare i conti con la netta spaccatura tra sunniti, sciiti e curdi. Se il governo di Baghdad non riuscirà a trovare il modo di raggiungere una migliore integrazione tra tutte le forze in campo, ciò che è successo in passato potrà accadere nuovamente in futuro.
La coalizione anti Isis è molto eterogenea e le operazioni militari sono condotte da diverse milizie. Esiste una strategia degli Stati Uniti per gestire il periodo di transizione dopo gli scontri in corso? C’è il rischio che il Paese sperimenti un nuovo periodo di instabilità e forti tensioni?
Il piano degli Stati Uniti, secondo il mio punto di vista, è quello di incoraggiare il governo sciita a essere più “inclusivo” nella gestione del post-Mosul. E’ corretto affermare che il rischio di nuova instabilità continuerà ad esistere.
La riconquista di Mosul avviene in un momento molto particolare per la vita istituzionale e politica degli Stati Uniti. Le elezioni presidenziali stanno influenzando in qualche modo le operazioni in Siria e Iraq?
Credo di no. Non sono le elezioni presidenziali ad influenzare le operazioni in Iraq e in Siria, quanto piuttosto il desiderio di Obama di vincere la partita prima di lasciare il suo incarico di presidente. Obama vuole trovarsi nella posizione di dire al suo successore che ha estirpato lo Stato Islamico dall’Iraq.
L’amministrazione Obama ha dedicato seri sforzi nella lotta contro l’Isis, sperimentando sia vittorie che sconfitte. Nell’ultimo anno l’inviato presidenziale nella coalizione contro lo Stato islamico è cambiato e alcuni attori internazionali, come la Russia, l’Iran e la Turchia sono entrati prepotentemente nel conflitto: crede che il nuovo presidente porterà avanti quanto fatto da Obama o dobbiamo aspettarci un radicale cambiamento di posizione da parte della nuova amministrazione?
Nei fatti possiamo immaginare che nulla o quasi cambierà, sebbene chi succederà a Obama affermerà di voler seguire una diversa strategia. Sostanzialmente, non assisteremo a grandi cambiamenti. Hillary Clinton ha affermato di volere una no-fly zone in Siria, ma i rapporti di forza in quei territori stanno cambiando e probabilmente lei non sarà nelle condizioni di seguire il suo piano iniziale. Inoltre deve fare i conti con l’opposizione del Pentagono su questo punto. Per quanto riguarda Donald Trump, non ho alcuna idea su quale sarà la sua strategia in Siria o in Iraq, giacché sino ad ora non ne ha chiaramente articolata una.
Come sarà giudicata in futuro la strategia di difesa e di sicurezza adottata da Obama? Sarà ricordato come un presidente di pace o come un presidente di guerra?
Questo proprio non lo so!