Dopo la crisi dei subprime nordamericani, i Paesi europei hanno subìto due shock simultanei: i clienti di quei titoli “tossici”, in gran parte europei, scoprono che gran parte dei loro attivi sono del tutto presunti; mentre la crisi economica degli Usa fa diminuire drammaticamente le rilevanti esportazioni Ue verso quel mercato.
La recessione porta automaticamente, come sempre, ad un aumento del deficit pubblico, perché diminuisce il gettito fiscale, mentre con la crisi non possono non aumentare le uscite pubbliche per sussidi e welfare.
La recessione globale del 2007, causata dagli Usa, porta quindi alla prima vera crisi dell’Euro. Se non sono più possibili aggiustamenti dei cambi, la attenuazione degli squilibri, nel mondo “euro”, viene affidata ai fondi strutturali Ue per le aree a basso reddito, un fondo scarsamente adatto alle specifiche necessità e troppo complesso per essere utilizzato dalle amministrazioni locali.
L’euro è nato quindi come moneta intimamente deflazionista; e quindi l’unica nazione a vincere la battaglia della moneta unica è stata quella Germania che, poco prima dell’inizio della fase della moneta unica europea, ha abbassato pesantemente i salari e creato gli ormai noti “minijobs”.
Con una inflazione e un costo del lavoro già minori degli altri futuri membri dell’Euro, ha subito creato un differenziale ottimale e stabile con l’”euro del Sud”. Oggi, l’euro maschera questa asimmetria, non la risolve. Quindi, bassissima inflazione in Germania e un correlato, bassissimo, tasso di interesse, il che ha ulteriormente aumentato la competitività tedesca rispetto all’area Sud dell’euro.
Quindi, i Paesi della Ue che non si erano preparati alla moneta unica avevano tassi di inflazione ben maggiori di Berlino ma godevano, con la moneta unica, di tassi di interesse più bassi, finanziando così il costo della crisi con l’indebitamento. Euro: moneta buona per indebitarsi, cattiva invece per esportare.
Inoltre, per questo motivo aumenta il debito pubblico, anche in Italia, ma i titoli del nostro debito sono, diversamente dal tempo della lira, detenuti in Paesi in surplus dell’area euro, non da clienti italiani di titoli del debito pubblico.
Arriva a questo punto la crisi della Grecia che, con Papandreu, ha apertamente e ingenuamente “truccato i conti” del bilancio di Atene. Invece di finanziare subito a basso tasso la Grecia, per farla uscire dalla crisi e poi permettergli di risanare i suoi conti, l’asse Sarkozy–Merkel ha imposto una durissima “austerità” ad Atene che ha dovuto pagare tassi altissimi sul mercato e quindi il default di Atene è diventato, di fronte ai mercati internazionali, una concretissima possibilità.
Se Strauss-Kahn non fosse stato ingiustamente diffamato da una relazione speciale tra Sarkozy e Obama, che aveva paura di una UE con le palle, il finanziamento a basso tasso, per Atene, sarebbe stato una realtà, e non ci sarebbe stato il primo default marcato “Euro”. Che ne prepara altri. Sarà il progetto in atto per altre economie “deboli”, la corsa verso il fallimento.
I mercati internazionali si sono abituati a guadagnare presto e bene da un default nazionale dell’area Euro che stanno arrotando i denti per il prossimo a cadere in quella spirale. L’euro è quindi una moneta che amplifica le crisi interne tra tassi elevati e deficit nazionali in aumento; e segnala ai mercati finanziari l’esistenza di una grassa opportunità di alti guadagni a breve, quasi usurari, se l’usura fosse, magari, un reato anche nei mercati finanziari internazionali.
Se quindi l’euro, per come è configurato, è un segno della fine per i Paesi più deboli dell’area della moneta unica, non è però vero che, secondo la vulgata economica corrente, sia stato l’eccesso di spesa dei Paesi già indeboliti dall’euro a far precipitare la crisi.
Se vediamo i dati osserviamo che, dopo il 2007, i Paesi detti PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) avevano un livello di indebitamento rispetto al PIL del tutto comparabile con quello precedente all’introduzione dell’euro.
Non accettiamo spiegazioni, quindi, sui Paesi “immorali” che “spendono oltre le loro possibilità”. La crisi nasce, e si espande, perché una moneta nata per i Paesi più forti monetariamente, e con un buon surplus commerciale, non è adatta a quelle nazioni con diverse conformazioni produttive e scarsissimi surplus. Quindi, la crisi della moneta unica e delle sue economie non deriva dalle politiche “non-restrittive” e spendaccione di certi loro governi PIIGS.
E’ arrivata a questo punto, da parte delle burocrazie europee, l’idea, abbastanza insolita, che la spesa in deficit del settore pubblico, unico volano conosciuto per stimolare le economie in crisi, abbia come effetto immediato l’aumento delle tasse, che fa aumentare i risparmi e ridurre i consumi. E’ questa la scuola della austerità espansiva, la più nota, attualmente, dell’analisi economica contemporanea. Che muove, in generale, da valutazioni soggettive (e discutibili psicologicamente) che vengono trasposte nell’ambiente macroeconomico, dove tutto è molto diverso dalla attitudine alla spesa o al risparmio del soggetto. Da una cellula non si evince il comportamento di un intero organismo. Perché, è ben noto, tutti gli organismi non sono semplicemente ammassi di cellule simili.
Sempre secondo la austerità espansiva, si ritiene che la riduzione del deficit sarà interpretata dai contribuenti come una riduzione delle tasse da pagare. E’ un ragionamento da sciamani. Senza, peraltro, che i mass-media non influenzino i cittadini, o che si pensi che essi risparmino o meno per altri motivi che non la cervellotica scommessa sulla diminuzione del deficit statuale, che dipende comunque da una scelta politica. Finché quindi i tassi di interesse dei governi per rifinanziare il loro debito sono stabiliti da non meglio definiti “mercati”, che sono interessati a aumentare gli interessi per migliorare i loro guadagni, non se ne esce.
Allora, che fare? Se a finanziare gli Stati dell’Euro fosse direttamente la BCE, a tassi simili a quelli usati dal sistema bancario privato, per la sola Italia si libererebbero risorse finanziarie pari al 5% del PIL. Anche un sistema fiscale omogeneo tra i Paesi dell’Euro sarebbe essenziale per questo fine. Ma né la prima né la seconda ipotesi sono possibili nel contesto normativo attuale dell’Euro. Allora? Per questo, va valutata senza drammi l’uscita di alcuni Paesi dall’area euro e il ritorno alle monete nazionali.
Calcolando la perdita di competitività di una Lira o di una Peseta post-Euro, si arriva ad un tasso di perdita relativa di competitività intorno al 14%, quindi niente di molto grave. Ammesso che la Banca d’Italia, però, abbia a disposizione piani già finemente elaborati per l’eventuale uscita dall’Euro, cosa a cui non crediamo affatto.
Guido Carli non c’è più, purtroppo. Quindi, lo ripetiamo, la crisi dell’euro è stata generata da un eccesso di debito privato e pubblico detenuto in mani non-europee. E quindi, a partire dal 2010, tutti i Paesi colpiti dalla crisi dell’euro avevano accumulato deficit delle partite correnti, mentre quelli che avevano surplus delle partite correnti non hanno avuto, guarda caso, crisi finanziarie.
La crisi, infatti, si è manifestata con un sudden stop, un arresto improvviso dei flussi di capitale tra i Paesi euro. Uno stop che si è manifestato con l’aumento generalizzato dei premi di rischio. La fine dei flussi ha sollevato subito dei dubbi sulla solvibilità delle banche e dei governi che dipendevano dai prestiti dall’estero, per esempio di quelli che stavano accumulando deficit delle partite correnti.
La crisi, poi, ha inevitabilmente aumentato il rapporto debito/PIL. L’unione monetaria qui ha permesso agli squilibri internazionali di espandersi rapidamente senza che nessuno se ne accorgesse, perché l’euro “maschera” le differenze tra i Paesi che lo usano. Si è così amplificata, anche grazie alla inefficiente burocrazia europea, la perdita di fiducia verso i Paesi in deficit. Senza quindi un “prestatore di ultima istanza”, un lender of last resort, ogni shock monetario tende ad amplificarsi, e l’euro è proprio una moneta senza lender of last resort. A cui nessun investitore internazionale crede, salvo che l’euro sia il rappresentante delle singole economie e dei singoli debiti pubblici del Paesi dell’Eurozona.
Quindi, la crisi non può non aggravarsi, dato che l’aumento dei premi di rischio e degli interessi produce un deficit di bilancio che a sua volta fa aumentare il premio di rischio e gli interessi. E’ poi ovvio aggiungere che la risposta tipica, naturale, dei Paesi a questa situazione sarebbe la svalutazione che, ovviamente, con l’euro non è possibile. Una moneta che non è possibile svalutare, è forse mai esistita? E’ ancora il “mito napoleonico” della moneta unica per tutta l’Europa che però l’Imperatore dei Francesi sosteneva con le baionette, esattamente come oggi il Dollaro Usa si sostiene con il rayonnement globale delle FF.AA nordamericane.
Il debito denominato in euro è così, sempre più, somigliante a un debito in valuta estera, come in quelle crisi da sudden stop che capitavano spesso nei Paesi del Terzo Mondo. E così, il nesso tra banche e governi nell’Eurozona ha amplificato la crisi. Il finanziamento del deficit aumentava di costo, e questo aumentava il deficit.
Solo il whatever it takes di Mario Draghi alla fine del Luglio 2012 ha reso l’Euro una “moneta rifugio”, perché ha chiarito che il “prestatore di ultima istanza” c’era ed era il governatore della BCE, ma nel frattempo le altre principali valute internazionali si erano svalutate del 30%. Le proposte per risolvere la crisi della moneta unica sono, poi, spesso paradossali. Si va da Joseph Stiglitz, che vuole che la Germania esca dall’Euro per permettere alla vecchia moneta unica rimanente di svalutare. Con le stesse regole attuali? Impossibile. E allora, aspettare una gentile concessione dei tedeschi, che non si capisce che interesse avrebbero a uscire dalla moneta unica, che li priva della concorrenza europea? Ingenuità del Nuovo Mondo. La Germania non lascerà mai l’Euro, che gli permette di mettere in riga pericolosi concorrenti per l’export (l’Italia, per esempio).
Mentre il Presidente Ciampi, recentemente scomparso, uomo straordinario e che ancora rimpiango, visitava la Grande Muraglia, in Cina, arrivava il capo del governo tedesco Schroeder a sancire i trattati per l’espansione dell’industria tedesca dell’auto in Cina. Occorrerà una migliore intelligence, più autonoma, per difenderci dai concorrenti-alleati. Per Paolo Savona e poi Luigi Zingales, si tratterebbe di farne due, di Euro, uno per i “ricchi” del Nord e l’altro per noi poveri sudisti. Zingales, peraltro, parla talvolta di vari Euro. Avrebbero lo stesso valore?
Diventando magari monete quasi-nazionali? Ma anche i Paesi del Sud hanno differenze significative di bilancio e indebitamento, oltre a differenti logiche produttive. Meglio di prima con l’euro, certamente, ma poco meglio. Basevi pensa, invece, ad una Agenzia Europea del Debito Pubblico, che acquista sul mercato secondario (dove i raiders hanno già fatto buoni guadagni) fino al 60% del debito in rapporto al PIL di ogni Paese Ue. E, sulla base di questi titoli, essa crea i propri bonds, blue bonds, mentre per la parte che eccede il proprio debito oltre il 60% acquisito dalla AEDP, i Paesi autonomamente creano i loro red bonds.
I blue sarebbero “liquidi” e sicuri (perché? Dov’è il fondo base della AEDP?) mentre i reds avrebbero un più elevato profilo di rischio e quindi proporrebbero un maggiore interesse. Il mercato globale dei titoli finanziari non è, però, composto da fessi. E non si capisce da dove arriverebbe il premio per gli stessi blues. E dove si venderebbero i reds, con un interesse tale da ricostruire rapidamente il vecchio, gigantesco, debito pubblico.
Allora, se si esce dall’euro e si ricrea una nuova Lira la svalutazione sarebbe di circa il 27% rispetto alla moneta europea. Le materie prime potrebbero salire della stessa percentuale, ma si tratta di vedere la lunghezza dei contratti e il ruolo specifico di ENI per i petroli e l’energia.
I depositi bancari potrebbero ancora essere denominati in euro, la legge permette depositi bancari in monete estere, e la Nuova lira potrebbe girare come la vecchia moneta progettata da Silvio Gesell, che perdeva valore quanto più rimaneva “ferma”.
La spinta verso l’export sarebbe importante, ma ci sarebbero abbastanza Euro disponibili per comprare tecnologie o altro all’estero. Insomma, bisogna pensare razionalmente ad un prossimo abbandono dell’Euro, senza miti europeisti e con una precisa analisi del nostro interesse nazionale a breve e a medio termine.