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Che cosa non dice Mario Monti su referendum, Europa, tasse e Merkel

Mario Monti
Mario Monti, sempre lui, è tornato a scrivere al Corriere della Sera, sempre quello diretto da Luciano Fontana con sede a Milano, nella storica via Solferino, per polemizzare con Matteo Renzi, sempre lui, il giovane presidente del Consiglio in carica dal mese di febbraio del 2014, e segretario del Pd da dicembre del 2013.
L’ultima che Renzi ha fatto a Monti, spingendolo a rivolgersi al sempre ospitale quotidiano di quella che fu la borghesia prima lombarda e poi italiana, è di averlo incluso a parole e per immagini nell’”accozzaglia” del fronte referendario del No alla riforma costituzionale. A parole nominandolo, per immagini inserendo la sua foto con altre in una specie di manifesto che fa parte di un dépliant destinato agli elettori dal comitato del Sì in questa fase conclusiva della campagna referendaria.
La prima, curiosa contestazione di Monti, senatore notoriamente a vita, nominato nel 2011 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e presidente del Consiglio, nominato sempre da Napolitano, da quella stessa data sino al 27 aprile 2013, a capo di un governo dichiaratamente e orgogliosamente tecnico, è quella di non poter essere annoverato tra i protagonisti dell’”accozzaglia” perché non parteciperebbe alla campagna referendaria, pur essendo certamente contrario alla riforma costituzionale sottoposta alla verifica popolare.
Beh, direi che Monti fa troppo il modesto. Il suo protagonismo è nelle cose: nel ruolo che ha avuto come presidente del Consiglio, nella funzione di senatore a vita destinato a rimanere tale, con le stesse prerogative, e gli stessi emolumenti, nella nuova e ridottissima assemblea di Palazzo Madama, se la riforma dovesse essere approvata. E infine nella capacità di poter contare sulla disponibilità del più diffuso giornale italiano ogni volta che sente il bisogno di farsi leggere, e quindi sentire, per l’eco che i suoi articoli sono destinati ad avere, a dispetto della forma di lettere al direttore che pudicamente viene adottata, non so se più per volontà del mittente o del destinatario.
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Un’altra contestazione di Monti a Renzi consiste nel ricorso al termine stesso dell’”accozzaglia” dei No perché sarebbe un espediente polemico contrario alla “logica” di qualsiasi referendum, in cui può capitare a chiunque di trovarsi in compagnia di persone di cui non si condivide altro che quel no, potendo essere su tutto il resto divisi.
Questo è sicuramente vero. Non c’è bisogno che Monti scriva un’altra lettera al direttore del Corriere della Sera per ricordare la partecipazione neppure casuale di uomini come Churchill e Stalin alla guerra contro la Germania di Hitler, per non parlare naturalmente dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America.
Ma ciò non toglie che, trattandosi appunto di un referendum e non di una guerra, un politico debba fare attenzione anche alle compagnie in cui finisce per trovarsi. E valutare se valga davvero la pena portare il proprio contributo alla realizzazione di progetti altrui, coltivati all’ombra della prova referendaria.
Lo stesso Monti, per esempio, precisa di non volere la caduta del governo nel caso di una vittoria referendaria del No, per quanto egli non condivida parecchie delle scelte di Renzi, preferendo evidentemente solo indebolire il presidente del Consiglio, come vogliono anche Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani nel Pd, e forse Silvio Berlusconi in Forza Italia: dico forse perché con Berlusconi non si sa mai, tutto è possibile ch’egli dica e poi smentisca, faccia capire per poi accusare altri di averlo frainteso. Eppure il no di Monti, come quelli degli altri appena citati, consente a Beppe Grillo e ai suoi di reclamare la testa del presidente del Consiglio in caso di vittoria del No. E ha già permesso a Matteo Salvini di srotolare sulla Piazza Rossa di Mosca, sia pure per la durata di cinque secondi, cinque, un manifesto per annunciare lo sfratto di Renzi da Palazzo Chigi prima di Natale. Solo per la brevità dello spettacolo Putin non ha fatto in tempo ad affacciarsi per assistervi.
Beh, questi inconvenienti un senatore a vita ed ex presidente del Consiglio, per quanto screditata possa essere, a torto o a ragione, secondo le prevalenti rappresentazioni mediatiche, la cosiddetta casta dei politici, specie se di nomina e non di elezione, dovrebbe metterli nel conto. Dovrebbe farsene carico, e regolarsi di conseguenza. Così almeno sembra ad un vecchio e probabilmente ingenuo osservatore, o cronista parlamentare, se preferite.
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Monti se l’è presa con Renzi anche per essere stato da lui indicato come il capo di un governo prestatosi ad eseguire le direttive impopolari dell’Unione Europea a trazione tedesca.
Nella reazione l’ex presidente del Consiglio si è vantato di essersi sempre assunta la responsabilità personale delle decisioni, e di avere preceduto lo stesso Renzi nel minacciare un veto, o qualcosa di simile, in sede europea se la signora Angela Merkel e subordinati, all’incirca, non avessero tenuto conto di un’esigenza posta da lui una volta a tutela dei titoli del debito pubblico italiano.
Anche questo è vero. Sarebbe disonesto negarlo. Ma, visto che ci siamo, sarei curioso di verificare la veridicità di un’autorevole versione che mi fu data di una riunione interministeriale nella quale, verso la fine del 2012, alla vigilia delle elezioni politiche, il governo decise di confermare l’Imu sulla prima casa, nonostante gli introiti fiscali dai patrimoni immobiliari si fossero mostrati superiori alle previsioni esattamente nella misura di quell’imposta.
Nonostante il tema fosse ormai già entrato nella campagna elettorale per iniziativa di Berlusconi, che cavalcandolo rischiò di vincere, per quanto il Cavaliere fosse politicamente malandato, il governo Monti tenne duro per non dare – si disse in quella riunione – “un cattivo segnale all’Unione Europea”, dove è notoriamente diffusa l’opinione che la proprietà edilizia sia più speculativa che altro. E di questo argomento, d’altronde, si fece cenno anche pubblicamente, in qualche dibattito o altra occasione. Allora, in verità. Renzi da Firenze, dove operava, era d’accordo con Monti. Poi ha notoriamente cambiato idea e adottato ben altre decisioni, essendosi evidentemente convinto che le cose non stessero come allora sembravano.
A parte, comunque, questi ed altri temi del continuo bisticcio politico cui assistiamo da tempo fra Renzi e Monti, o viceversa, mi chiedo perché mai in questo scorcio ormai di campagna referendaria non sia ancora venuto in mente ad un conduttore televisivo di organizzare un confronto fra i due. O, se a qualcuno  fosse venuto in mente, per iniziativa o colpa di chi dei due non se ne sia fatto nulla. Eppure sarebbe un confronto molto più interessante di tanti altri che ci vengono propinati in questi giorni tra la noia e l’indifferenza di buona parte del pubblico. E mi scuso in anticipo con chiunque si sentisse offeso.


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