E’ in corso a Roma, presso la Fiera, una grande manifestazione sull’amicizia e la cooperazione economica tra Italia e Iran.
Con amarezza (ma senza stupore), ho appreso la presenza e letto le dichiarazioni entusiaste di membri del Governo italiano, che non si sono neppure preoccupati di spendere una parola, una sillaba, un sospiro sulla condizione dei diritti umani e civili a Teheran.
Per carità, è capitato anche ad altri governi di ogni segno e colore, rispetto a questo come ad altri regimi dittatoriali: ma ciò non attenua le responsabilità di nessuno, nel passato come nel presente.
In Iran, esattamente in queste giorni, sono avvenute impiccagioni di massa e sono state annunciate imminenti pubbliche flagellazioni per cittadini accusati di “blasfemia” in quanto convertiti (da musulmani a cristiani). Per non dire della recrudescenza di persecuzioni contro dissidenti politici e omosessuali, della segregazione delle donne, della negazione sistematica di libertà e diritti.
Possibile che a Roma (dopo le statue incartate in Campidoglio, dopo gli inchini a Rohuani, dopo opache e non ancora spiegate attività di cooperazione militare tra Roma e Teheran: un’interrogazione parlamentare sul tema giace senza risposta…) il Governo non abbia trovato il modo – nemmeno per salvare la faccia – di fare un accenno al problema?
Ma c’è di più. Non c’è solo un aspetto “umanitario”. C’è proprio un punto strettamente commerciale che va illuminato. Esattamente all’opposto delle azioni del Governo, occorrerebbe semmai segnalare alle imprese italiane i rischi di eventuali accordi commerciali in Iran: la possibilità di finanziare indirettamente il terrorismo è alta, così come quella di aver a che fare con un Paese che (specie nel mutato contesto internazionale, dopo le elezioni Usa) rischia di finire di nuovo in una “blacklist”, con conseguenze devastanti per chi nel frattempo avrà avviato lì una propria attività di business.
A questo rischio è stato dedicato il convegno sotto egida Uani al quale ho partecipato anch’io insieme all’ambasciatore Giulio Terzi, che lo ha organizzato, e ad altri amici e relatori. Non occorre attendere Trump per capire che molte cose cambieranno.
E’ comprensibile che tante imprese cerchino un mercato. Ma è politicamente irresponsabile incoraggiarle in una direzione pericolosa per loro stesse: per la loro reputazione e per la sorte dei loro investimenti. Meglio avvisarle…