Il dato è tratto. Il 59,50 per cento ha votato No, rigettando le modifiche alla nostra Costituzione. Renzi artefice e promotore accanito della revisione costituzionale esce sonoramente perdente dalla contesa. I commenti conseguenti alla netta sconfitta, oltre ad esaminare la rilevante questione delle regole costituzionali e dell’organizzazione istituzionale dell’Italia, sono sfociati sulle note di carattere di Renzi, disegnato da taluni arrogante, presuntuoso, demagogo perciò punito.
A favore del No: molti si sono soffermati sulle insoddisfazioni e le paure del ceto medio, che negli ultimi anni ha visto sempre più scalfito e corroso il valore del proprio ruolo e della propria condizione economica e sociale. I protagonisti del dibattito notturno, seguito ai risultati del referendum si sono impegnati anche nell’analisi di possibili e futuri scenari, guardando a cosa farà il Movimento 5Stelle, che atteggiamento assumerà Berlusconi, come si comporterà il Partito Democratico dopo la impensabile disfatta al referendum, per ironia della sorte, senza un vincitore politico.
L’alta affluenza alle urne, auspicata dal fronte del Sì c’è stata, ma è andata a favore del No. A Renzi non è stata assegnata credibilità, perché i suoi proclami si sono rivelati inconsistenti e fatui, molto lontani dalla realtà della vita concreta vissuta dalla gente, soprattutto dal ceto medio-basso.
Il cittadino quando vota lo fa con acume e cognizione di causa, trentadue milioni di italiani non sarebbero usciti di casa in una giornata fredda di dicembre, per mettere semplicemente la croce sul sì o sul no, ma avevano motivazioni ben più serie per farlo.
Con il voto di ieri gli italiani hanno bocciato il Jobs act, la Buona scuola, la riforma della PA, la riforma delle province, e nel contempo invocando migliori condizioni di vita per gli anziani, per i giovani, per le famiglie.
Adesso bisogna ricominciare da qui per avere una società più giusta e più vivibile, coniugando merito e bisogno. E sono sempre più convinto che tra i vari attori presenti sulla scena politica ne manca sempre uno importante, portatore di una visione della società e della politica a trecentosessanta gradi, che può aiutare il Paese a riprendere un cammino in linea con la domanda di governo che viene dagli italiani. Questo attore si chiama “popolarismo”.