Lui, il premier incaricato, fresco di nomina, anche nelle frenetiche ore che seguono la convocazione al Quirinale, con il tempo solo per pranzare con la sua famiglia, in attesa delle consultazioni da aprire nel pomeriggio con i partiti a Montecitorio, resta flemmatico e soprattutto gentile, come dice il suo stesso cognome.
Il carattere del personaggio, erede dei conti Gentiloni Silveri (tra i quali quel Vincenzo Ottorino Gentiloni che dette il nome all’omonimo Patto per l’ingresso dei cattolici in politica), il primo premier incaricato ad avere doppio cognome, si manifesta tutto appena domenica mattina scende dal Colle e va a conferire dai presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini.
L’ex ministro degli Esteri sulla strada che lo porta di ritorno dal Senato verso piazza Venezia per andare a Montecitorio ordina all’autista di fermarsi a tutti semafori, come tutte le altre auto. Si dirà, cose ovvie e normali. Putroppo non sempre sulle strade della Roma politica a sirene spiegate. Vestito grigio e cravatta blu, mise elegante ma anche molto sobria, “Paolo”, il gentile, prima di varcare la soglia dello studio della presidente Boldrini, parlando con i cronisti che lo aspettano: Fabrizio Alfano, caporedattore dell’ agenzia giornalistica Agi e chi scrive questo articolo, ha un attimo per scherzare. Al saluto dei cronisti “Buon giorno, presidente”, risponde amichevolmente e come sempre in modo scherzoso: “Eh sì, ora devo proprio abituarmi a questo nome!”. Sorride con quel lieve sense of humor che ha sempre conservato nonostante la sua prestigiosa carriera politica. Ha sempre voluto essere chiamato dai cronisti parlamentari, anche quando era ministro degli Esteri, semplicemente “Paolo” e farsi dare del tu.
Ora, nel giorno da premier incaricato che lui non avrebbe mai immaginato, pacato e riflessivo come è, sempre intento a cucire, a stare al suo posto, a non fare ombra per educazione e gentilezza agli altri, Paolo Gentiloni conferma tutta la sua forza tranquilla ma determinata. Saluta il collega Alfano e la sottoscritta con un grande sorriso. Alla fine Alfano che vorrebbe dirgli “Ciao Paolo”, come sempre, usa, con la sottoscritta, questa formula: “Ciao, presidente Paolo”.
Paolo Gentiloni Silveri è tra i fondatori del Partito Democratico, e prima ancora è stato braccio destro di Francesco Rutelli, sindaco di Roma, nella cui giunta fu anche assessore. Molti hanno sempre pensato che senza il “Presidente Paolo”, Rutelli non sarebbe mai riuscito ad essere considerato uno dei migliori sindaci della Capitale. Comunque sia dalla “scuola” di Rutelli è venuto anche l’ex premier Matteo Renzi. Chissà se Filippo Sensi portavoce di Renzi confermerebbe anche oggi con il suo senso dell’ironia la stessa battuta che fece alla vigilia delle amministrative a Roma quando a sfidarsi al primo turno furono Alfio Marchini per Forza Italia e Roberto Giachetti (altro “ragazzo” di Rutelli) per il Pd. Disse scherzando Sensi ai suoi: “ Comunque vada, vince sempre Rutelli”. Ma Gentiloni, che Renzi ha voluto perché fedelissimo, è personalità che ha sempre brillato di suo. Lo chiamano “il conte rosso”, ma lui è stato sempre un uomo con la vocazione della moderazione. E dalla sue prime parole – ma questa è forse solo una prima interpretazione maliziosa dei cronisti a caldo – sembra che con passo moderato intenda muoversi anche verso quelle elezioni a breve che i renziani vorrebbero. In perfetta sintonia con Sergio Mattarella ha parlato di governo nella pienezza delle funzioni e dell’emergenza terremoto che sicuramente è difficile affrontare in tempi brevi.