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Paolo Gentiloni e il futuro dei cattolici in politica

Il governo Gentiloni ha ottenuto la fiducia anche al Senato, è dunque nel pieno delle sue funzioni. Fantasticando…potrebbe nascere forse con l’attuale presidente del consiglio una speranza per i cattolici in politica. Infatti, il rampollo Paolo appartiene al nobile casato, di cui era prestigioso esponente il conte Vincenzo Ottorino, cameriere di Sua Santità Pio XI, autore del “patto” sottoscritto da cattolici e liberali, consistente nella condivisione di sette punti qualificanti sul piano sociale, non confessionali, che stavano a cuore alla Chiesa romana. Dal Patto Gentiloni in poi è stato un crescendo dell’azione del cattolicesimo politico in Italia, compresa la gloriosa, unica esperienza della Democrazia cristiana. L’attività politica e di governo della Dc si è conclusa con incomprensibile violenza giustizialista nel 1994. Ha governato l’Italia con uomini competenti e di alta cultura dal 18 aprile 1948, avendo sempre come stella polare il bene comune del Paese, di tutto il Paese. La Dc partito di centro, popolare, democratico, nazionale, di ispirazione cristiana è stata ritenuta da opinionisti e da illustri intellettuali punto di equilibrio, tra le intemperanze reazionarie della destra e i sussulti rivoluzionari della sinistra. La Dc pur dando vita, per quasi cinquant’anni, a governi non di lunghissima durata è riuscita a garantire governabilità e stabilità, prima con alleati centristi e poi di centrosinistra, allargando le coalizioni di governo al Partito socialista italiano. La Dc si distingueva per gli ideali propri del cattolicesimo politico, senza mai essere un partito dei cattolici, ma di cattolici. E’ trascorso un ventennio senza la Dc, ha ancora senso oggi parlare di un partito cattolico di centro? Forse sì, vista la penuria di offerte politiche valide per il buon governo dell’Italia. E’ giusto premettere che non si vuole qui discutere di cattolici come braccio armato della Chiesa e della sua gerarchia, ma di una libera unione politica dei cattolici. E’ vero che intorno a questo tema si svolgono svariate analisi, e che può, talvolta, l’argomento essere paragonato a un fiume carsico: per tanto tempo non se ne parla, arriva poi la stagione in cui si avverte il bisogno di una presenza operosa e fattiva, di idee chiare, consolidate, coerenti con le aspirazioni di una consistente parte del popolo italiano, soprattutto, in un’epoca di smarrimento come quella attuale. E scatta l’aspirazione ad avere un partito garante della governabilità come ai tempi della Dc. E’ una questione rilevante, che merita riflessioni adeguate. La chiamata di Paolo Gentiloni all’alta carica di Presidente del Consiglio stimola gli storici ricordi di chi ha conosciuto l’opera dell’illustre avo, del “pre-popolarismo” e del “popolarismo” apprezzandone la lungimiranza, la forza, l’originalità del pensiero. Sì, perché la formazione cattolica di Paolo Gentiloni è figlia della storia delle sue origini. Infatti, il conte Gentiloni è stato fautore e protagonista con i vari Grosoli, Paganuzzi, Murri, Sturzo dell’ingresso ufficiale dei cattolici in politica, dopo l’attenuazione e l’abrogazione del non expedit, promulgato da Pio IX nel 1874, in seguito alla presa di Porta Pia, da parte dei Savoia, che impediva ai cattolici di partecipare attivamente alla vita politica nel nuovo regno. Il patto Gentiloni del 1913, voluto da cattolici e liberali giolittiani, fu sottoscritto per agevolare finalmente l’ingresso dei primi come deputati e per accrescere il peso parlamentare dei liberali, che aderivano ai sette punti dell’accordo in cambio dei voti dei cattolici. E’ proprio impossibile, agli inizi del terzo millennio della storia, pensare a un nuovo patto che consenta a una libera unione politica di cattolici di riprendere a fare politica in forma organizzata nelle nostre istituzioni locali, regionali, nazionali, europee? Caso mai sotto la guida di Paolo Gentiloni? Non sarebbe un disegno peregrino sottoscrivere un nuovo patto tra cattolici e non cattolici, per una lunga stagione di stabilità di governo. La fine della Dc, l’assenza di una forza politica di ispirazione cristiana nel Paese e nel parlamento italiano è tuttora avvertita, se non altro per l’azione politico-parlamentare svolta con competenza, lungimiranza, equilibrio e mitezza. In questa realtà evoluta, moderna, attraversata da un capitalismo primitivo e selvaggio la politica ha smarrito il senso del proprio ruolo, della propria funzione, mostrandosi incapace di contrastare gli interessi egoistici di un’economia aggressiva e cinica, perdendo quella peculiarità sociale necessaria, soprattutto, nel mondo globalizzato. I cattolici in politica di fronte a questo clima assurdo, dove la povertà avanza quotidianamente hanno il dovere di riflettere, e domandarsi se non è il caso di ripensare a un loro rinnovato impegno in politica, non più come risposta ad un nemico negatore di ogni libertà, ma come necessità, di fronte ai momenti di gravi difficoltà di carattere socio-economico, con l’unico fine di ripristinare condizioni di vita più degne per tutti, in un’Italia dubbiosa e impaurita.


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