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Aleppo, riprende l’evacuazione e l’Onu vota una risoluzione per monitorarla

L’evacuazione di Aleppo riprende dopo l’andamento a singhiozzi di questi giorni. Nella notte appena trascorsa poche centinaia di civili sono riusciti a salire sui bus verdi che si occupano di trasferire gli abitanti dell’ultimo fazzoletto di quartieri che era rimasto in mano ai ribelli verso le aree più a ovest, controllate dalle opposizioni. Ad Aleppo Est rimangono ancora migliaia di persone (circa 30mila), bloccate, molte avrebbero passato queste nottate in strada, nonostante le basse temperature, in attesa di uscire dalla città. Il flusso si è regolarizzato lunedì mattina.

Nel pomeriggio di domenica l’evacuazione si era di nuovo interrotta a causa di un colpo di coda di alcune fazioni ribelli che hanno attaccato – bruciandoli – i pullman che sarebbero dovuti servire a compiere un’altra operazione analoga, ma a Fua e Kefraya: due villaggi sciiti nella provincia di Idlib in cui qualche migliaio di persone vivono una situazione speculare a quella di Aleppo. Lì sono i ribelli ad assediare i residenti, considerati per il credo vicini al governo, e Damasco (sotto la forte spinta di Teheran) era riuscita a ottenere venerdì lasciapassare simili a quelli di Aleppo. L’azione autolesionista dei gruppi di Idlib, guidati essenzialmente da fazioni jihadiste (in primis la Jabhat Fateh al Sham, ex Nusra, l’ex filiale qaedista) aveva mandato in aria i piani e avvalorato implicitamente la linea politica russo-siriana che descrive la popolazione scacco dei ribelli. I soldati di Bashar el Assad, o per meglio i miliziani sciiti che combattono in suo nome, appresa la notizia di quello che era successo qualche chilometro più a ovest avevano chiuso i check point intorno ad Aleppo e bloccato le uscite. (Nota: come tutto in guerra, soprattutto in questa guerra in questi tempi, la vicenda ha preso forme diverse, e così mentre i governativi accusavano i ribelli, i ribelli accusavano i governativi di aver bruciato i bus come operazione false flag per sabotare l’evacuazione).

Domenica c’è stato un altro contatto diplomatico tra Russia e Turchia, che ormai conducono le mediazioni per conto rispettivamente di Damasco e di alcune fazioni ribelli. Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan, alleati rinnovati e autoproclamati risolutori della crisi, si sono sentiti telefonicamente e hanno concordato che le varie interruzioni che hanno condizionato questi cinque giorni di evacuazione devono essere superate affinché il processo prenda via con regolarità. Ma né Putin con le fazioni più ideologizzate e settarie controllate dall’Iran, né Erdogan con i gruppi jihadisti, sembrano avere completamente il polso dei propri rappresentati che si trovano sul campo. Martedì è in programma un vertice tra i ministri di Difesa e Esteri russi, turchi e iraniani: uno schema a tre che si rivedrà in un altro incontro più ufficiale il 27 dicembre.

Intanto Mevlut Cavusoglu, il ministro degli Esteri turco, ha detto su Twitter nel primo pomeriggio di lunedì che sono già circa 20mila le persone fatte uscire in totale dalla città. Sempre lunedì i quindici membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno definitivamente votato all’unanimità una bozza di risoluzione redatta dalla Francia, in cui si chiede che le parti in causa sul campo diano “immediato accesso” ai funzionari Onu che dovranno sovrintendere le operazioni di evacuazione. Domenica una prima stesura di un documento simile aveva incontrato l’opposizione russa che aveva minacciato il veto (come fatto già diverse altre volte). Nella revisione che ha incontrato il via libero russo, i funzionari della Nazioni Unite potranno entrare nei territori solo dopo aver negoziato direttamente le regole con i gruppi governativi che li controllano, ufficialmente per rendere meno rischioso il lavoro dei supervisori; ma questo potrebbe permettere a chiunque di bloccare l’accesso, compreso alle milizie sciite lealiste, che non sono un esercito di uno stato di diritto, e anzi alcune sono anche considerate entità terroristiche.


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