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Referendum Cgil, ecco i rischi del quesito sui licenziamenti

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L’OBIETTIVO DEL QUESITO

Il quesito è strutturato in modo che, se vincesse il Sì, tornerebbe in vigore la disciplina dei licenziamenti posta dallo Statuto dei Lavoratori nel 1970, rafforzata da una modifica del 1990; questa disciplina, inoltre, risulterebbe applicabile a qualsiasi datore di lavoro, imprenditore o no, con più di cinque dipendenti, il che costituirebbe una novità assoluta per almeno un milione di imprese e qualche milione di rapporti di lavoro.

AMMISSIBILITÀ O NO

Un primo profilo di inammissibilità del quesito sta nel fatto che esso dovrebbe avere un contenuto unitario; qui, invece, di contenuti ce ne sono addirittura tre: 1) “volete voi abrogare la parte del Jobs Act relativa ai licenziamenti, applicabile agli assunti dal marzo 2015?”; 2) “per gli assunti prima del marzo 2015, volete voi abrogare le modifiche dell’articolo 18 contenute nella legge Fornero del 2012?”; infine 3) “volete voi che il vecchio articolo 18, così ripristinato, si applichi a tutti i datori di lavoro che abbiano almeno sei dipendenti?”. Un secondo profilo di inammissibilità sta nel fatto che quest’ultimo quesito non ha per oggetto l’abrogazione di una norma, ma l’emanazione di una norma nuova, che non è mai esistita: attraverso un lavoro complesso di forbici, si prende una parola del comma ottavo dell’articolo 18 (la parola “cinque” riferita nel testo originario al numero dei dipendenti delle imprese agricole cui l’articolo 18 si applica) per utilizzarla nel contesto di una norma diversa (cioè quella che si applica alla generalità dei datori di lavoro non agricoli). In questo modo non viene soltanto abrogato un insieme di norme, ma ne viene creata una nuova che non è mai esistita. . Per questa parte, il referendum promosso dalla Cgil diventa propositivo. Ma l’istituzione del referendum propositivo è stata bocciata proprio dieci giorni fa.
Una manipolazione analoga, anch’essa inammissibile, viene compiuta nel comma settimo dello stesso articolo.

VALUTAZIONE DI MERITO

Sul piano storico-politico si segnala innanzitutto una curiosità: nel 2003, in occasione di un referendum abrogativo che si proponeva un obiettivo analogo a questo, per la parte relativa all’estensione del campo di applicazione dell’articolo 18 anche alle imprese con meno di 16 dipendenti, l’ex segretario generale della Cgil Sergio Cofferati invitò la stessa Cgil all’astensione dal voto per far sì che non venisse raggiunto il quorum; il quale poi effettivamente non venne raggiunto. Ma, soprattutto, va osservato che l’ipotetica vittoria del Sì in questo referendum interromperebbe bruscamente il processo tendente a rendere il nostro Paese più attrattivo per gli imprenditori e gli investitori, non soltanto riducendo la pressione fiscale sul impresa e lavoro, il peso della burocrazia, e il differenziale di costo dell’energia rispetto al resto d’Europa, ma anche e soprattutto allineando il nostro diritto del lavoro rispetto ai migliori standard dei Paesi dell’OECD, rendendo il nostro mercato del lavoro più fluido e più capace di agevolare e sostenere il passaggio dei lavoratori dalle imprese più deboli a quelle più produttive. Questo avrebbe il solo effetto di indebolire complessivamente i lavoratori italiani.

IL TESTO DEL QUESITO

«Volete voi l’abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza e dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”,
– comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 del codice civile”;
– comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei
contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”;
– comma 5 nella sua interezza;
– comma 6, limitatamente alla parola “quinto” e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi” e alle parole “, quinto o settimo”;
– comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’art. 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”;
– comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di” e alle parole “, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”.».

(Commento estratto dal sito pietroichino.it)


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