L’anno che sta per iniziare, il 2017, è un anno importante per i due più avanzati blocchi continentali di integrazione sovranazionale: l’Unione Europea e l’ASEAN. Sessant’anni fa, nel 1957, venivano firmati a Roma i Trattati istitutivi della Comunità Economica Europea, che dopo successive trasformazioni ci ha oggi portati all’Unione Europea: 28 paesi, 500 milioni di abitanti, un PIL pari a circa il 20% di quello mondiale.
Cinquant’anni fa, nel 1967 veniva firmata a Bangkok la dichiarazione che dava vita all’ASEAN (Association of South-East Asian Nations), oggi diventata una realtà di dieci paesi e 620 milioni di cittadini, che rappresenta il 3,3% del PIL e il 7% delle esportazioni mondiali, in proiezione la quarta realtà economica globale entro il 2050.
Vent’anni fa infine, nel 1997, riconoscendo l’importanza strategica di una cooperazione fra queste due aree del pianeta, a seguito di un incontro a Bangkok dell’Asia-Europe Meeting, veniva fondata l’ASEF (Asian European Foundation), per “costruire un ponte” fra questi due mondi.
Tre anniversari, che non faranno mancare celebrazioni e narrazioni retoriche dei successi raggiunti. Tre anniversari, che dovrebbero invece spingere a guardare, con urgenza, ben al di là della retorica del successo; ed affrontare sfide interne e globali sempre più urgenti.
Prima di tutto i problemi interni.
Il processo d’integrazione europea, con una politica monetaria sovranazionale e 28 politiche di bilancio nazionali, ha messo a nudo tutte le carenze di un percorso ancora non compiuto, che anzi rischia di fare passi indietro, come mostra il caso Brexit. Con un sistema decisionale intergovernativo, basato principalmente sull’esercizio del diritto di veto, come in un qualsiasi consesso diplomatico, non come una vera entità capace di agire con efficacia e prontezza alle sfide globali. Successi, certo, come l’euro; ma che rischiano di apparire più come vincoli che come opportunità.
E l’ASEAN, col suo “modo” tutto speciale di procedere nell’integrazione regionale, che salvaguarda esplicitamente la sovranità dei singoli membri e fornisce solo tavoli negoziali e di confronto sui temi dell’integrazione economico-finanziaria in un’area che ha invece grande bisogno di costruire infrastrutture comuni, fornire beni collettivi come il monitoraggio e la tutela dei mari, l’approvvigionamento energetico. Tutte cose finora sacrificate in nome della crescita.
Ma soprattutto sono i problemi esterni che dovrebbero spingere a guardare a questi appuntamenti in un’ottica diversa.
Con l’arrivo di Trump alla Presidenza USA e l’annunciato processo di deresponsabilizzazione sia dal fronte europeo sia da quello asiatico, difesa e sicurezza diventano un punto cruciale. Pensa l’Europa di poterle gestire ancora con 28 eserciti e politiche estere diverse?
E pensa l’ASEAN che nel prossimo futuro sarà in grado di assicurare la sicurezza interna dei propri cittadini facendo affidamento solo sulla forza sovrana di ciascuno dei suoi Stati? O di poter affrontare le sciagure dei cambiamenti climatici in un’ottica nazionale in un contesto geografico fortemente interdipendente, se non altro per prossimità geografica e problematiche comuni di gestione di risorse marine, idrografiche, energetiche? Come intende gestire l’ASEAN i rapporti con vicini di dimensioni economiche e politiche enormi come India, Cina, Giappone?
Un salto di qualità è necessario: nella rappresentatività delle istituzioni, nell’allocazione delle competenze fra livello nazionale e sovranazionale, nei meccanismi decisionali. Non solo per consolidare e completare i processi d’integrazione già in atto, ma soprattutto per far fronte alle fide e alle responsabilità globali che si annunciano sempre più pesanti.
Insomma, UE e ASEAN devono decidere se vogliono ancora contare qualcosa nel mondo multipolare che si va delineando, ritagliandosi un ruolo come potenze continentali, o se pensano di potersi richiudere nelle anguste dimensioni nazionali, magari limitandosi a condividere le regole di un grande mercato unico, dialogando e negoziando le questioni davvero cruciali in inutili ed estenuanti confronti diplomatici.
Queste sono le domande che, in occasione dei tre anniversari, sarebbe bene, e soprattutto urgente, porsi. Tutto il resto è puro esercizio retorico.