La Russia nei prossimi cinque anni continuerà a lavorare “per ripristinare lo status di grande potenza”, dice il report annuale Global Trends redatto dall’Ufficio del Director of National Intelligence James Clapper, creando interferenze anche attraverso “grey zones military tactics“, ossia quelle che confondono volutamente le condizioni di guerra e di pace; un esempio, i little green men, le forze speciali russe con tute verdi senza insegne schierate all’inizio della crisi in Crimea.
INSICURA E AGGRESSIVA
Mosca “rimane insicura nella sua visione del mondo”, scrivono gli analisti che compongono lo staff del direttore che supervisiona tutte le agenzie di intelligence americane, e per questo cercherà di cavalcare i propri interessi nazionali, come nel caso dell’Ucraina o dell’influenza in Siria, spiegano, in quanto sono questi “sforzi” che hanno permesso al presidente Vladimir Putin di mantenere la presa sul consenso nel paese, nonostante l’instabilità economica e le sanzioni messe in piedi da Stati Uniti e Unione Europea: “Mosca continuerà inoltre a usare la retorica antioccidentale e una ideologia nazionalista che evoca la forza imperiale e morale del popolo russo, al fine di gestire la vulnerabilità interna e far progredire i propri interessi”. Per gli analisti americani è questa “amalgama di autoritarismo, corruzione e nazionalismo” che molti “revisionisti trovano attraente”.
IL RISCHIO CONTATTI E LO SCONTRO CON LA NATO
La politica estera aggressiva russa si concretizzerà in alcune zone cuscinetto disposte ai propri confini, dall’Artico alle periferie governate dai presidente-tiranni amici, e questo, secondo le previsioni quinquennali dell’ufficio di Clapper, significherà contrasti con i Paesi baltici e con l’Europa orientale, che Mosca vede come sue legittime aree di influenze. La Russia non fermerà la spesa militare, e anzi porrà “un accento sulla deterrenza strategica”, nonostante le difficoltà economiche, anche in contrasto con le politiche analoghe adottate lungo il confine est dalla Nato. E allo stesso tempo partiranno dalla Russia anche attacchi cyber, individuando gli Stati Uniti come obiettivo da colpire anche per spostare le politiche americane a proprio favore: qui non sfugge il richiamo al caso dell’hacking russo durante le presidenziali del novembre scorso, dossier su cui gli uomini di Clapper hanno coordinato le attività delle altre agenzie.
LA SITUAZIONE REGIONALE
In un quadro geopolitico più in ampio: la Russia ha un enorme peso in tutta la dimensione eurasiatica, perché molti dei paesi che fanno parte di quest’area geografica pongono radici culturali nella dominazione russa, e Mosca ancora esercita potere commerciale e economico, nonché forte influenza, nei confronti di questi Stati. Secondo gli analisti dell’intelligence americana, se le tattiche di Mosca dovessero fallire (e se la stagnazione economica resterà forte, l’outlook molto legato al prezzo del petrolio resterà negativo e le sanzioni occidentali rimarranno in piedi), potrebbero innescarsi processi di instabilità interna in Russia. E questo non comporterebbe un minor impegno geopolitico russo, ma piuttosto un aumento dell’aggressività, e potrebbero anche innescarsi più situazioni “Ukraine-Style” nei paesi confinanti. C’è anche un potenziale elemento di trasformazione: l’aumento del coinvolgimento della Cina nella regione, se Pechino dovesse iniziare a muoversi non solo sotto gli interessi economici, ma anche perseguendo ambizioni politiche.
LE AUDIZIONI DEGLI UOMINI DI TRUMP
Giovedì, durante le audizioni alla Commissioni del Senato che devono valutare le nomine del presidente eletto Donald Trump, sia il generale scelto per guidare il Pentagono, James Mattis, sia il futuro capo della Cia, Mike Pompeo, hanno parlato della minaccia rappresentata dalla Russia. Si tratta di un cambio di schema rispetto alla semplificazione “Trump sta con la Russia”: il presidente che si insedierà il 20 gennaio alla Casa Bianca ha in effetti più volte detto di cercare un’apertura nei confronti di Mosca, in discontinuità con l’Amministrazione ormai agli sgoccioli. Ma all’interno della sua amministrazione le posizioni sono piuttosto eterogenee: si va dai Grandi Elettori del Texas che il giorno in cui hanno confermato la propria votazione hanno festeggiato sventolando la bandiera russa, a quella espressa dai due top funzionari di difesa e intelligence. Mattis ha detto che la Russia rappresenta “la principale minaccia” per gli Stati Uniti, spiegando che certamente è possibile cercare strade di dialogo, ma “occorre rendersi conto” che Mosca sta lavorando per spaccare la Nato, e questo, insieme alla minaccia terroristica e alle intemperie di Pechino nel Mar Cinese, è “il più grosso attacco dai tempi della Seconda Guerra Mondiale” per l’America. Anche Pompeo ha parlato di Russia: per il capo della Cia Mosca negli ultimi anni ha ripreso le sue politiche aggressive, “ha invaso e occupato l’Ucraina, sta minacciando l’Europa e non ha fatto niente finora per combattere l’Isis”. Anche Rex Tillerson, nominato segretario di Stato, mercoledì ha spiegato ai senatori che lui terrà una linea decisa con Mosca, a dispetto dei suoi rapporti e coinvolgimenti in Russia legati alla sua precedente attività alla guida di Exxon: Tillerson ha però detto che il sistema sanzionatorio nei confronti del governo russo potrebbe essere rivisto.