Mentre i sette litigiosissimi candidati socialisti alle primarie per l’Eliseo se danno di santa ragione, come emerge dal dibattito di questi giorni ruotante attorno al “reddito di base” per tutti, i tre concorrenti avversari più accreditati sembrano fare un’altra campagna elettorale. Manuel Valls e compagni sanno di non avere nessuna chance di arrivare al ballottaggio, ma cercano di ipotecare la leadership del partito distrutto da François Hollande. Per i due posti disponibili il 23 aprile, Marine Le Pen, François Fillon ed Emmanuel Macron si stanno giocando tutte le risorse a loro disposizione sapendo che uno di loro resterà inevitabilmente al palo.
Non è detto che il finale di partita sia quello che da tempo quasi tutti gli osservatori prevedono. Cioè a dire il duello tra la leader del Front national e l’uomo “nuovo” (soltanto perché ha sconfitto contro tutte le previsioni della vigilia Nicolas Sarkozy ed Alain Juppé) dei Républicains. E’ più che probabile, intendiamoci. Ma se si considera che a cento giorni dal primo turno, entrambi insieme con la vera sorpresa di questa campagna elettorale, il neo-centrista post-socialista Macron, sono in un fazzoletto di voti, il 6% ad essere precisi prendendo per buono il sondaggio pubblicato da “Paris Macht”, niente è definito come sembrava.
Non è più irraggiungibile la Le Pen accreditata del 26% dei voti, potrebbe arretrare Fillon che non va oltre il 24%, mentre chi non ha nulla da perdere, venuto fuori improvvisamente ed improvvisamente affermatosi è il giovane ex-ministro dell’Economia Macron che con il suo 20%, raggranellato in soli sei mesi di campagna elettorale, può essere lo sfidante di uno dei primi due. Insomma, l’Eliseo non è più affare esclusivo della bionda pasionaria nazionalista, né del “moderato” ed esperto statista gollista.
Macron non è soltanto l’ospite scomodo in quanto inaspettato in una contesa il cui copione sembrava già scritto. Ma è anche il giovane e brillante politico che è stato capace di mandare al diavolo Hollande, Valls e la nomenclatura socialista della quale pure ha fatto brevemente parte, con il chiaro intento di rompere gli equilibri consolidati sulla scena politica francese e far capire chiaro e tondo che tutti coloro che non si accontentano delle equivoche promesse di Fillon o che delusi dai socialisti e perfino scontenti dell’impotenza del donchisciottesco Jean-Luc Mélenchon, epigono di una sinistra-sinistra fuori dal mondo, possono guardare a lui che vuole unire la Francia proponendo un modo nuovo di stare in Europa. Né accodandosi agli apologeti dell’austerità, né vellicando l’antieuropeismo senza soluzioni concrete possibili.
Le sue ultime uscite sull’euro, a tal proposito, sono apparse particolarmente convincenti soprattutto a quell’elettorato gollista che non ha apprezzato le confuse promesse di Fillon sulla sicurezza sociale e sul futuro della Francia nell’Unione. Macron, particolarmente critico sull’euro ha detto, nel corso di una recente conferenza a Berlino: “Dobbiamo riconoscere che l’euro è incompleto e che potrebbe sopravvivere i prossimi dieci anni senza delle riforme fondamentali”. Ed ha aggiunto che la moneta unica “non ha dotato l’Europa di una sovranità utile a contrastare la forza del dollaro, tanto meno di uno strumento per favorire la convergenza tra Paesi membri”. Il che vuol dire che l’euro favorisce la Germania ed altro non è che “un marco tedesco debole”. Per concludere, in maniera ancora più forte: “Mantenere lo status quo, equivale a condannare la moneta comune a uno smantellamento nell’arco dei prossimi dieci anni”.
Parole che indubbiamente spiazzano l’elettorato del Front national non fidelizzato e quello gollista piuttosto confuso rispetto a due mesi fa quando Fillon veniva dato da tutti già con un piede all’Eliseo.
Ma Macron ha fatto di più. Lavorando sulle divisioni del Partito socialista, offre una prospettiva a chi non vuol votare per necessità il candidato dei Républicains al fine di sbarrare la strada alla Le Pen. E’ un’alternativa credibile considerando che al secondo turno i suoi vecchi amici come Arnaud de Montebourg, compagno dell’ex-ministro della Cultura Aurélie Filippetti, e predecessore dello stesso Macron al ministero dell’Economia, svincolati dal “fastidio” delle primarie del Ps a cui partecipano (forse di malavoglia, ma pur sempre per dare fastidio all’ex-primo ministro), si ritroveranno con lui in una battaglia che potrebbe vederlo vincente.
Al momento, insomma, il trentottenne di Amiens che in poche settimane, tra le fine dell’estate e l’inizio dell’autunno scorsi ha fondato dal niente un partito dall’ambizioso nome “En marche!” e con un libro-programma, dall’impegnativo titolo di Rèvolution, che dopo la sua uscita il 24 novembre scorso, ha venduto 200.000 copie in pochi giorni (successo strepitoso per un saggio politico), si è posto al centro della politica francese, spiazzando i socialisti, lasciando sconcertati lepenisti e gollisti e facendo venire il mal di testa a molti altri, a destra come a sinistra. Macron, rispolverando un po’ di lib-lab d’antan, quel tanto di orgoglio nazionale che tanto piace ai francesi, ammiccando con sapienza al ceto medio e innestando nel suo programma una buona dose di efficientismo maturato nelle scuole d’élite che ha frequentato, cerca di parlare ad una Francia che non ne può più delle antiche contrapposizioni. I sondaggisti dicono che se si scontrasse con la Le Pen la batterebbe 65 a 35, se incrociasse Fillon il risultato sarebbe 52 a 48.
Intanto Macron non sembra aver problemi di finanziamento, come non ce l’ha Fillon. La Le Pen è, invece, indebitata fino al collo. Nessuna banca ha accettato di aprire i rubinetti a suo favore, neppure per piccoli prestiti. E’ tornata dal vecchio Jean-Marie, suo padre, che cacciò in malo modo dal partito. Alla figlia il fondatore del Front national non ha saputo dire di no. Rimane fuori dal partito, ma le ha dato sei milioni di euro per una campagna presidenziale che potrebbe essere l’ultima per Marine. A bordo campo si prepara un’altra Le Pen, la giovane Marion, deputata all’Assemblea nazionale, in disaccordo con la zia soprattutto sui temi etici, ma non per questo fuori dal clan. La destra francese, quella identitaria, è donna. Sempre di più. E se di Macron ce n’è uno solo, la dinastia lepenista sembra infinita. Un matriarcato, comunque la si pensi, affascinante.