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La magia del rating

In questi giorni due notizie interessanti sono passate sulla stampa internazionale. La prima è il declassamento che anche DBRS, agenzia candese di rating ufficialmente consultata dalla Banca Centrale Europea, ha affibbiato al debito pubblico italiano (una decisione sostanzialmente scontata e nota, anche se ancora non adottata, già in autunno). La seconda è il patteggiamento per 864 milioni di dollari (esatto, quasi un miliardo di euro!) da parte di Moody’s, altra nota agenzia di rating, per gli “errori” dolosamente commessi nella valutazione del rischio in occasione della crisi finanziaria Usa.

Al di là dei contenuti tecnici di queste due informazioni, tutto sommato trascurabili in entrambi i casi, quello che è interessante è il segnale politico che esse veicolano.

Qualche chiarimento. Un’agenzia di rating dovrebbe valutare il grado di solvibilità/rischiosità di un asset, sia esso un titolo azionario di una società privata o un’obbligazione emessa da un ente pubblico. Dovrebbe compiere questa valutazione seguendo una serie di parametri, che ovviamente hanno ben poco di oggettivo. O meglio, partono da una struttura di dati oggettivi e poi, necessariamente, questi dati devono essere letti ed interpretati in maniera evolutiva, non come una semplice fotografia. L’esercizio di questa discrezionalità nella lettura dei dati è chiaramente l’esercizio di un potere politico, nel senso che ha conseguenze politiche (di policies) di tutta evidenza: il declassamento di un titolo implica che chi lo vuole ricollocare sul mercato sarà costretto a pagare un più alto premio di rischio. Le agenzie di rating hanno perciò il potere di modificare i prezzi di mercato.

Dovrebbero farlo naturalmente seguendo un codice deontologico a servizio dell’intera collettività; potendo contare su un patrimonio di informazioni più completo rispetto a quello cui può accedere un semplice risparmiatore o investitore, il giudizio di merito che esse esprimono dovrebbe essere più accurato.

Naturalmente, avendo una finalità pubblica, queste agenzie dovrebbero rispondere alla collettività per i danni che arrecano, esattamente come è successo per la “multa” a Moody’s. Ora, il declassamento del debito pubblico italiano da parte dell’ultima agenzia ad aver mantenuto una “A” nel suo giudizio (prima di DBRS ci avevano già declassato S&P, Moody’s e Fitch, le altre tre agenzie monitorate dalla Bce) significa che il costo medio del rifinanziamento del debito delle banche che portano i Btp come collaterale alla Bce sale in media del 6% (una enormità). Tuttavia, le banche (italiane e non) praticamente non usano i Btp come collaterale per rifinanziarsi con la Bce (e sono comunque ampiamente coperte di collaterale presso la Bce) e il declassamento non avrà quindi praticamente alcun impatto significativo sul costo del credito e sul sistema bancario.

Quello che invece è importante, dicevamo, è il segale politico. Il declassamento è avvenuto esplicitamente a seguito del risultato negativo del referendum del dicembre scorso e delle dimissioni di Renzi.

Il giudizio politico quindi è sulla capacità di questo governo e in prospettiva del paese di essere governato in modo stabile e “rassicurante” per i mercati.

I mercati. Ancora una volta i mercati.

Forse non è ancora sufficientemente chiaro quello che sta accadendo in Italia (ma non solo in Italia). Ogni volta che “i mercati” fanno sentire la loro insoddisfazione per un provvedimento, per il governo, per una manovra… fette consistenti della popolazione si spostano come per magia verso formazioni populiste, nazionaliste, sovraniste. Il modo migliore per far vincere le elezioni a questi soggetti, per quanto stiano facendo di tutto (ma proprio di tutto) per non accreditarsi come forze plausibili di governo, è esattamente quello di mettere in mano ai mercati il giudizio sulla salute del paese e delle sue scelte politiche.

Naturalmente si può dire che le agenzie di rating sono superiori a queste dinamiche: guardano semplicemente al grado di stabilità del paese (che va obiettivamente diminuendo).

Ma la stabilità dipende dalla capacità del paese e dell’Unione Europea, di cui è parte integrante, di fornire risposte concrete ai cittadini, facendoli sentire al tempo stesso responsabili delle scelte collettive assunte ma anche attori delle scelte stesse. Dipende dalla diminuzione, non dall’aumento, dello scarto fra quello che l’elettore medio percepisce come esigenze pressanti da soddisfare e quello che invece percepisce come un sopruso compiuto sopra la sua pelle. In questo odierno vuoto nella capacità dei pubblici poteri di soddisfare i bisogni legittimi dei cittadini si annidano il populismo, il nazionalismo, l’intolleranza, la xenofobia, e quindi lo spostamento dell’elettorato verso le compagini politiche che si fanno portatrici di questi valori.

Il mercato globale vede peggiorare le prospettive di stabilità politica del paese; anche noi le vediamo peggiorare. Perché, grazie anche ai giudizi negativi (e niente affatto neutrali) espressi dalle agenzie di rating, il cittadino si sente sempre più vittima di valutazioni che non dipendono dalla soddisfazione dei suoi bisogni. E che anzi, presumibilmente, fanno immaginare un futuro ancora meno roseo (austerità, ulteriore diminuzione della spesa pubblica, della qualità dei servizi, etc) per le sue prospettive di vita.

Lo stato sociale faticosamente conquistato in Europa non si difende con l’austerità (come sembrano suggerire i mercati); né lo si difende con il disperato tentativo di recuperare una sovranità nazionale ormai inefficace, che è quello verso cui (anche) i giudizi delle agenzie di rating spingono l’elettorato.

Lo si fa trasformando l’Unione Europea, o una parte di essa, in un soggetto capace di agire sul mercato mondiale, con una sua strategia, una sua politica estera e di difesa, un suo apparato militare (magari usato solo a fini dissuasivi), un suo bilancio pubblico per finanziare beni pubblici europei. Lo stato sociale oggi può difenderlo solo l’Unione Europea. Non questa Unione Europea intergovernativa. Ma quella che avevano sognato i padri fondatori all’indomani del secondo conflitto mondiale.

A quando un’agenzia di rating che valuti le policies pubbliche in base alle loro capacità di fornire concrete risposte e prospettive ai cittadini europei?


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