Chiara Appendino è la terza via del grillismo? Mentre a Roma volano gli stracci fra l’asse Grillo-Di Maio e gli “ortodossi” Fico e Lombardi, mentre in Campidoglio Virginia Raggi ha passato i primi sei mesi a schivare sgambetti politici e siluri giudiziari, a Torino brillano ancora le stelle del Movimento. Tuttavia, la linea tenuta sin qui dalla sindaca torinese non si pone certo in rottura con il cosiddetto “sistema Torino”. In realtà, fra la pentastellata e il massimo esponente del fronte opposto, il presidente regionale Pd Sergio Chiamparino, da mesi regna la concordia, tanto che sotto la Mole c’è chi ha coniato l’eloquente termine “Chiappendino”, a indicare una convergenza che nessuno, prima delle elezioni, si sarebbe immaginato. Lei non sembra curarsi degli sfottò e i risultati stanno arrivando: lo dimostra il sondaggio del Sole 24 Ore, che l’ha recentemente benedetta “sindaco più amato d’Italia”.
LA PACE CON PROFUMO
A tenere banco, in questi giorni, sono le mosse della Appendino sulle Fondazioni bancarie, in particolare Compagnia di San Paolo (azionista di Intesa Sanpaolo) e Crt (azionista di Unicredit). Molti, dopo la clamorosa vittoria alle comunali, si aspettavano lo spoil-system grillino. Del resto i propositi del sindaco erano apparsi da subito bellicosi. All’indomani del voto aveva preso di mira il presidente della Compagnia Francesco Profumo, nominato appena un mese prima dall’uscente Piero Fassino. “Profumo deve dimettersi” aveva tuonato la neoeletta. Ma lo tsunami previsto non c’è stato. In parte perché la sindaca, da statuto, non ha il potere di rimuovere Profumo. Ma soprattutto perché il clima è cambiato. Giorni fa, in occasione della presentazione del piano strategico della Compagnia, Appendino ha reso merito al presidente: “Con la Compagnia lavoriamo bene e continueremo a farlo”. Beninteso, il disappunto sulla tempistica della nomina di Fassino resta, e infatti la sindaca ha ribadito ciò che aveva annunciato già a giugno: “Introdurremo il semestre bianco: basta nomine a ridosso delle elezioni”.
FONDAZIONE CRT
Comunque, altro che spoil-system: fra i grillini e i “poteri forti”, almeno a Torino, è scoppiata la pace. In questi giorni, mentre sullo sfondo Intesa punta su Generali e Unicredit lavora all’aumento di capitale, c’è gran fermento anche su sponda CRT. Bisogna nominare il nuovo presidente, dopo le recentissime dimissioni di Antonio Maria Marocco. Le voci che ampiamente si rincorrono, anche sui giornali, danno favorito Giovanni Quaglia: ex segretario provinciale della Dc cuneese, Quaglia è stato eletto in consiglio regionale già nel lontano 1983. Dal 1988 al 2004 è stato presidente della Provincia di Cuneo ed è molto addentro al mondo della finanza piemontese. Fino al 2015 ha fatto parte del cda di Unicredit e ora è presidente della ATS, l’Autostrada Torino-Savona. Chiamparino lo vedeva bene al vertice di Fondazione Crt già la scorsa estate, ma allora tutto sembrò stopparsi proprio per la conquista del Comune da parte dei grillini. Ora il suo nome ha ripreso a circolare e, da quanto filtra, sembra che la Appendino non solleverà obiezioni. Vero che la sindaca ha un potere limitato (il presidente di Crt è espressione del cda, non direttamente del Comune), ma il suo mancato ostruzionismo viene letto come un segnale politico.
DENTRO IL “SISTEMA TORINO”
Insomma, le mosse della Appendino indicano che ha scelto una linea di continuità nei confronti del cosiddetto “sistema Torino”, gestito per anni dal Pd. Per ragioni di buon senso, prima di tutto. Malgrado la conquista del Municipio, la sindaca sa di non avere il potere per scatenare la rivoluzione grillina: ai tavoli che contano, infatti, si ritrova davanti a una schiera di interlocutori Democratici, a partire da Chiamparino. E quindi, non potendo imporre uno spoil-system che sia veramente efficace, si muove con grande cautela. L’obiettivo della sindaca, sembra scontato ma non lo è, è amministrare la città. Ma per amministrare servono soldi, e uno degli ultimi rubinetti rimasti aperti, ormai, è proprio quello delle fondazioni bancarie, su cui si gioca una partita delicata. A questo proposito Profumo ha annunciato gli stanziamenti della Compagnia: 159 milioni per il 2017, oltre 600 milioni fino al 2020. A Torino tutto ciò si traduce in progetti di grande impatto sulla città. Basterà citarne uno: lo sgombero, finanziato proprio dalla Compagnia, delle palazzine dell’ex Villaggio Olimpico, da anni occupate abusivamente da centinaia di clandestini e ormai terra di nessuno. Insomma, in questo contesto, scatenare una guerra di poltrone rischia soltanto di ritorcersi contro la sindaca.
LA GRANA DELLA CULTURA
Del resto i problemi più grossi Appendino li ha avuti sulla cultura, il settore in cui, sin dalla campagna elettorale, si è dimostrata più aggressiva nei confronti dell’establishment. Lo scorso settembre ha annunciato di voler chiudere la Fondazione per la Cultura, l’ente comunale che raccoglie i finanziamenti per numerosi eventi, da MiTo a Biennale Democrazia passando per il Festival del Jazz. C’è stata poi la querelle con Patrizia Asproni, presidente della Fondazione Musei, “indotta” dalla sindaca a dimettersi dopo l’annullamento dell’attesa mostra su Manet, lo scorso ottobre. Proprio sull’addio polemico della Asproni si è consumato l’unico incidente diplomatico con Chiamparino. Una grana che non ha fatto bene al M5S, già al centro della polemica per l’annullamento del Jazz Festival, della sua “appendice” Fringe e soprattutto per l’addio al Salone del Libro, che dal 2017 si trasferirà a Milano. Uno “scippo”, quest’ultimo, molto dannoso all’immagine della città, su cui Chiara Appendino non ha alcuna responsabilità (il trasloco è stato voluto dall’Associazione Italiana Editori). Ma a lei è toccato pagarne lo scotto in termini di consenso. Così, per risolvere l’impasse Chiamparino e Appendino hanno lavorato assieme. Risultato? A maggio è atteso al Lingotto il “nuovo” Salone del Libro. Made in “Chiappendino”.