Lasciate ogni speranza o voi che entrate senza cautele nell’Unione a due velocità. Nemmeno il più inguaribile degli ottimisti della Lega ai suoi albori avrebbe potuto immaginare quello che sta accadendo oggi. La secessione, quel motto infausto di ribellione invocato per anni da Umberto Bossi, sta finalmente realizzandosi. Solo che a dividersi non è l’Italia ma l’Europa. Angela Merkel, con la sua uscita di voler mettere i puntini sulle i dei Trattati, proprio in occasione dei festeggiamenti per i 60 anni di quello di Roma, sta traendo le conseguenze di un piano deliberato che ha preso le mosse nel 2010, quando per non dare alla Grecia una quarantina di miliardi, si è finiti per concederne oltre 200 in più rate. Tutto per salvare le banche tedesche, impelagate fino al collo con i redditizi e pericolosi bond ellenici, senza far pagare dazio a Berlino, bensì alla collettività europea.
Oggi, a sette anni da quella data sciagurata, che ha segnato anche l’inizio delle turbolenze sui mercati nei confronti dell’Italia, la Cancelliera scopre che, in fondo, dall’euro si può scendere come se fosse un taxi.
Questo il progetto, nemmeno tanto segreto. Da Berlino a Helsinki fino a Vienna, passando da Parigi (a meno che una Francia lepenista decidesse addirittura di tornare al franco) l’Unione Europea di serie A; da Milano in giù, l’Unione di serie B, con l’Italia a guidare il campionato cadetto del debito.
Sono stati troppi i segnali negli ultimi mesi per non capire che la secessione europea era il vero obiettivo tedesco. Prima la Brexit, che in teoria dovrebbe favorire la piazza finanziaria di Francoforte, ma potrebbe bloccare le fiorenti esportazioni dei lander verso un’Inghilterra alleata di Trump; poi l’uscita del saggio della Merkel, Roland Berger, che ha annunciato candidamente la convenienza per il suo Paese a uscire addirittura dalla moneta unica; infine gli studiati calcoli degli imprenditori teutonici i quali non sopportano più la politica monetaria lassista della Banca Centrale Europea, che, nel tenere bassi i tassi d’interesse, agevola i paesi ad alto debito dell’euro di serie B, appunto Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, mettendo però a rischio i risparmi e i conti delle assicurazioni tedesche.
La Germania ha svoltato ormai, dall’euro ha avuto quello che desiderava: un cambio fotocopia del marco, flussi di capitale dai Paesi deboli verso Berlino -solo dall’Italia, se essa uscisse dall’euro oggi il conto sarebbe di 350 miliardi a favore dei tedeschi – rigidità di bilancio, nessuna condivisione del debito, maxi surplus di esportazioni, non sanzionato da Bruxelles né compensato dall’aumento dei consumi interni.
L’Unione a 27 è un canotto bucato, ma non ci si deve illudere che la proposta di Frau Angela a Malta sia legata al desiderio di chiudere l’Eurozona ai Paesi che sono rimasti fuori dall’Unione monetaria. Questa separazione tra Est e Ovest è un dato di fatto e nessun Paese del blocco di Visegrad penserà mai di entrarci nella moneta unica, come è un fatto che l’Europa è divisa da tempo: chi decide e chi no. La strategia del ragno tedesca è quella di tirare una linea Sigfrido tra i Paesi a basso debito e quelli ad alto debito, tra Europa del Nord ed Europa del Sud.
Il governo di Paolo Gentiloni, che già prende fin troppo sul serio i diktat della Commissione Ue a trazione tedesca e che alla fine condurrà il Paese ad elezioni solo quando vorrà la Germania, deve rendersi conto che senza una correzione di rotta nei rapporti tra Berlino e Roma, quest’ultima si troverà fuori dai giochi europei e le resteranno solo le manifestazioni retoriche e inutili del prossimo 25 marzo. A salvarsi resterà l’unica città europea che ha nel suo dna il risorgimento di ideali e di civiltà: Milano. Troppo poco e troppo offensivo per milioni di italiani e di piccole imprese che meritano rispetto e molto di più di una retrocessione negli equilibri istituzionali europei. Prima di inneggiare alla panacea di tutti mali comunitari, va dunque capito bene cosa si intende per doppia velocità.
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)