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Libia, che cosa pensano Gentiloni e May di Russia e Haftar

Paolo Gentiloni

La Libia è stato uno degli argomenti importanti affrontati durante l’incontro londinese tra il premier italiano Paolo Gentiloni e l’omologa inglese Theresa May. Roma potrebbe aver chiesto a Londra di modificare in parte la politica adottata insieme sul paese nordafricano, con la possibilità di aprire a un maggior coinvolgimento della Russia. Un “approccio pragmatico” per superare quello “dogmatico” che secondo una fonte del governo italiano che ha parlato col Telegraph ha caratterizzato altri paesi.

IL SOSTEGNO A SERRAJ

Italia e Regno Unito sostengono il tentativo di governo internazionalmente riconosciuto guidato Fayez Serraj. Serraj è a capo del progetto deciso in sede di Nazioni Unite che dovrebbe riappacificare la Libia, ma di fatto (dopo più di un anno da quando è stato avviato) il percorso è ancora fermo. E questo sta creando malumori. Attualmente il governo insediatosi a Tripoli la scorsa primavera (su spinta italiana, inglese e americana soprattutto) non è politicamente legittimato e si inserisce di fatto come terzo attore tra gli esecutivi che ambiscono al controllo del paese: ossia si trova in mezzo, e riceve l’opposizione separata ma allo stesso modo aspra, al vecchio governo di matrice ideologico-islamista rappresentato dall’ex premier Khalifa Ghwell e dalle poche milizie collegate a ovest, e le forze di contrasto guidate a est dal generale Khalifa Haftar (che tra l’altro tengono sotto controllo l’ultimo parlamento eletto, rifugiato a Tobruk, e impediscono il completarsi del percorso di legittimazione per Serraj). A Roma è piuttosto chiaro che ormai senza una mediazione inclusiva verso la regione orientale non si può risolvere la spaccatura.

LA POSIZIONE DELL’EUROPA

Infatti, se Ghwell rappresenta più che altro una minaccia simbolica, Haftar è la vera entità di contrasto (non riconosce il ruolo di Serraj e di chiunque sia suo alleato) perché gode del sostegno politico-diplomatico-miliare di Egitto, Emirati Arabi e da qualche settimana è forte dell’appoggio della Russia dichiarato apertamente. È proprio da quando Mosca ha scoperto le carte che Gentiloni e l’UE hanno iniziato a tentare di rendere operativa l’idea secondo cui per cercare una riunificazione e una stabilizzazione serve includere l’Est; anche perché Haftar controlla gli output petroliferi (di fatto tornati a regime dopo l’occupazione haftarista di settembre scorso) e soprattutto come tentativo estremo per poter mettere in attività l’accordo sull’immigrazione chiuso dall’Italia e sottoscritto dall’Unione. Giovedì il parlamento di Tobruk lo ha respinto contestandone le fondamenta: scrive una nota che è “un accordo nullo e non vincolante, non avendo rispettato le norme legali nelle relazioni tra Italia e Libia” dato che Serraj non è del tutto legittimato.

LA LINEA APERTA DI ROMA

La policy da adottare proposta alla May, che segue un rivelazione del Times di Londra a proposito di un contatto diretto, telefonico, tra i ministri degli Esteri italiano e russo, andrebbe in questa direzione (una mese fa il ministro Angelino Alfano ha ricordato che “noi siamo stati i primi a dire che Haftar deve avere un ruolo”, durante un’audizione alla Commissioni riunite Esteri di Camera e Senato). Come rivelato per primi dall’Agenzia Nova, poi ufficialmente confermato, lunedì 6 gennaio l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, si è recato a Tobruk per incontri con il presidente del parlamento, Aqila Saleh, braccio politico del potere cirenaico e assiduo frequentatore del palazzo presidenziale egiziano e dei funzionari russi. Si tratta di contatti laterali che fanno da contorno alla linea calcata dall’Italia. Un incontro del genere c’è stato anche tra l’ambasciatrice francese Brigitte Curmi e Haftar: Parigi avrebbe invitato il generale a entrare in un accordo, sottolineando che ogni forzatura militare sarebbe deleteria e contraria alla visione dell’Europa e della Francia, e ricordando che anche al Cairo chiedono una soluzione politica. Nota importante: pare che l’Egitto creda che Haftar non abbia la forza e/o la capacità di prendere da solo il controllo della Libia, e magari questa postura è frutto anche di nuove disponibilità uscite dalla visita di poche settimane fa di Serraj (sempre gli egiziani a fine gennaio hanno diffuso rumors sui preparativi per un incontro faccia a faccia tra Serraj e Haftar che sarà ospitato al Cairo). Per quanto noto l’uomo forte della Cirenaica però avrebbe rifiutato il consiglio di Curmi, ma gli inviti di Parigi hanno un peso, dato che i francesi per lungo tempo hanno giocato in Libia su un doppio tavolo, sostenendo formalmente Serraj e in modo più riservato Haftar.

L’IDEA ITALIANA

Secondo il Guardian l’Italia avrebbe in programma dei colloqui con cui convincere Mosca che dare sostegno esclusivo ad Haftar non è una buona idea: posizione che fondamentalmente potrebbe incontrare la linea russa; Mosca non punta a un coinvolgimento intenso in stile Siria, e già con il rafforzamento della posizione di forza del generale dell’Est potrebbe aver raggiunto i propri obiettivi (ci sono in sospeso importanti accordi commerciali sulle armi). Roma vede per il generale un ruolo nella Difesa, ma sempre sotto il controllo civile delle istituzioni costruite dall’Onu. È stato inoltre lo stesso inviato speciale della Nazioni Unite Martin Kobler (che forse presto sarà sostituito) a sottolineare che potrebbero esserci modifiche all’accordo di unità siglato nel dicembre 2015, con la possibilità di dare “un ruolo” ad Haftar (si parla di cambiare i termini dell’articolo 8, quello in cui è scritto che al Consiglio presidenziale di Serraj si affida il controllo delle Forze armate).

IL TEST DI TRUMP

L’Italia in questo momento cerca di mantenere la posizione di guida sul processo libico, come confermato dalla chiacchierata telefonica tra Roma e Washington. Il presidente americano Donald Trump per il momento sta concedendo spazio di gestione agli italiani (fin quando?), mostrandosi relativamente interessato alle dinamiche libiche (fino a che punto?). Gentiloni si sta muovendo nel solco della diplomazia, una linea spiegata al Times dal vice ministro degli Esteri italiano Mario Giro: “L’Italia ha sempre avuto stretti legami con la Russia, e adesso vogliamo una Libia pacifica e unita. Se la Russia volesse la stessa cosa, ne saremmo felici”. Nel gioco di incastri, allora: Roma va a Londra a chiedere un maggiore coinvolgimento di Mosca nelle vicende libiche, muovendosi come una sorta di pontiere per aggiustare lo spazio russo sul dossier-Libia e sfruttando un ruolo di primo piano concesso da Washington, che nello stesso tempo ha stretto relazioni ancora più intense con il Regno Unito e vuole certezze per riaprire del tutto la porta alla Russia. La Libia è un test di fiducia pensato da Trump nei confronti di Russia e alleati? La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha fatto sapere che Serraj potrebbe volare in visita a Mosca già questo mese; e forse Gentiloni vuole anticipare qualche mossa per non farsi sfuggire di mano il pallino. Dalla Cirenaica inoltre ci sono stati annunci non verificabili secondo cui nel corso del fine settimana Haftar riceverà “il sostegno”, non meglio specificato, di Trump per la sua lotta al terrorismo.


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