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Immigrazione, tutti i dettagli del tosto piano di Gentiloni e Minniti

Marco Minniti

E’ ormai evidente che il governo Gentiloni abbia deciso di affrontare il problema dell’immigrazione in maniera più decisa rispetto al recente passato e che la dinamicità del ministro dell’Interno, Marco Minniti, unita a una collegialità delle decisioni sempre mancata nel governo di Matteo Renzi, potrebbe produrre effetti concreti a breve. Almeno è quello che si augurano tutti perché, a fronte delle difficoltà con l’Europa e con il continente africano, la situazione in Italia è sempre più “pericolosa” sia per le difficoltà oggettive di gestione da parte dello Stato, sia per le ricadute su un’opinione pubblica innervosita: dal 1° gennaio al 10 febbraio sono arrivati in Italia 9.446 migranti a fronte dei 6.030 dello stesso periodo dell’anno scorso. In sintesi: piccoli Centri permanenti per i rimpatri (Cpr) in tutte le regioni, maggiore rapidità nel concedere o negare l’asilo, accordi con i Comuni per un’accoglienza diffusa, sezioni con magistrati specializzati in 14 tribunali, 250 persone competenti per rinforzare le commissioni prefettizie che diventano una sorta di primo grado di giudizio con l’abolizione dell’appello, maggiore controllo del territorio e più sicurezza urbana. Va detto anche che i testi erano in lavorazione al Viminale da mesi, e infatti Minniti ha citato il suo predecessore Angelino Alfano, ma il Giorno del Giudizio, cioè il referendum costituzionale, aveva bloccato tutto.

Più poteri ai sindaci. Cominciamo da qui. Il Consiglio dei ministri del 10 febbraio ha varato due decreti legge: uno sull’immigrazione e uno sulla sicurezza urbana, mai messi in relazione nella conferenza stampa successiva eppure certo non casuali perché il segnale che si vuole mandare è “ordine e sicurezza”, visto che si va dalla gestione dei flussi migratori al degrado urbano. Un concetto da sempre considerato “di destra” e che invece da sempre è un pallino di Minniti. La sicurezza urbana “è un grande bene pubblico” ha detto il ministro negando che ci sarà un “sindaco sceriffo”, forse memore delle polemiche del 1999 quando era a Palazzo Chigi con Massimo D’Alema, al Viminale c’era Rosa Russo Jervolino e in Italia una recrudescenza della criminalità fece proporre (e mai attuare) poteri ai sindaci anche riguardo alle forze dell’ordine. Sceriffi o meno, i sindaci avranno più poteri di ordinanza sulla vendita di alcolici, sugli esercizi pubblici e sul decoro urbano: si vuole mettere un freno alla movida notturna che nelle città è causa di violenze e incidenti. Novità, poi, con un Daspo analogo a quello in vigore per impedire l’accesso agli stadi per chi è stato violento: le questure potranno impedire a soggetti che hanno deturpato beni pubblici o sono stati condannati per spaccio di droga a non frequentare determinate zone per un anno o più. In generale, ci sarà una maggiore cooperazione tra prefetti e comuni e, nel caso delle città metropolitane, nascerà un Comitato metropolitano con a capo il sindaco.

Un’accelerazione sull’immigrazione. Nell’audizione che ha tenuto l’8 febbraio davanti alle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, sull’immigrazione Minniti aveva di fatto anticipato quanto deciso dal Consiglio e alla fine si era preso i complimenti persino del leghista Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato e parlamentare autorevole, che aveva parlato compiaciuto di “federalismo della sicurezza”. Anche se poi dopo l’annuncio delle misure prese in Consiglio, lo stesso Calderoli e altri esponenti dell’opposizione hanno calcato la mano sulla necessità di fermare le partenze, vero tasto dolente: i 6 miliardi dati dall’Ue alla Turchia sono lì a ricordarlo.

Trasformare il fenomeno dell’immigrazione da irregolare e gestito da criminali a regolare, cioè arrivando in modo sicuro e controllato, è l’ambiziosissimo obiettivo del decreto legge così come spiegato dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, per il quale “ora bisogna rendere effettivo il principio di condivisione dell’onere dell’accoglienza in Europa”. Finora, dei 40 mila da ricollocare entro settembre 2017, l’Ue ne ha presi solo 3.200 anche se la Germania, disse Minniti in quell’audizione, ne accetterà 500 al mese. I punti centrali sono due: l’istituzione dei Cpr, più piccoli e facili da gestire e dove il Viminale potrà fare ispezioni per verificarne la gestione, e la velocizzazione delle pratiche sulle richieste di asilo. Ci saranno norme per rendere più rapide ed effettive le espulsioni e su questo, naturalmente, sarà fondamentale stipulare accordi con altri paesi di provenienza oltre ai pochi già in vigore. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha spiegato che le procedure davanti alle commissioni territoriali per verificare il diritto o meno all’asilo saranno modificate con l’introduzione di una sorta di rito camerale e la videoregistrazione dell’interrogatorio: in caso di ricorso, viene abolito l’appello e si potrà ricorrere in Cassazione se anche il Tribunale dovesse negare il diritto. I tempi per la decisione prima di ricorrere in Cassazione vengono ridotti da sei a quattro mesi. Oggi il 44 per cento delle domande viene respinto e la prospettiva, secondo il ministro, è che velocizzando l’iter le pratiche diminuiranno perché molti migranti oggi presentano la domanda anche se sanno che non sarà mai accolta, ma lucrando una lunga permanenza.

Il “vuoto dell’attesa” è il concetto fatto proprio da Minniti per spiegare il lasso di tempo tra l’arrivo e il rimpatrio o l’asilo. Nel decreto legge sarà previsto che i Comuni, utilizzando i fondi europei destinati all’immigrazione e all’asilo, possano favorire lavori con finalità sociali da parte dei migranti, ma volontari e gratuiti. Questa è una pecca perché, come avviene in altri Paesi europei, sarebbe stato giusto prevedere l’obbligo di un’attività in cambio dell’accoglienza pur se temporanea: l’immigrato di buona volontà già svolge lavori in tanti piccoli Comuni, chi invece non ha voglia di lavorare e spera solo nella buona sorte continuerà a bivaccare nei centri di accoglienza e nelle città. I tempi per il riconoscimento dello status di profugo stanno aumentando, ha detto Orlando, passando da 167 a 268 giorni. Ciò si aggiunge alla difficoltà dell’identificazione perché non sempre c’è collaborazione da parte del (probabile) paese di provenienza.

Cambiare l’approccio interno sarà importante, ma poco utile se sul fronte internazionale non si sbloccherà la situazione libica e se l’Ue non si farà carico di molte migliaia di migranti come promesso. La Libia rappresenta un groviglio diplomatico quasi inestricabile e se i libici non lo chiederanno apertamente (come non hanno intenzione di fare) è del tutto inutile continuare a polemizzare in Italia sulla necessità della cosiddetta fase 2-B dell’operazione Eunavfor Med: non possiamo entrare nelle loro acque territoriali senza permesso. Nello stesso tempo, sono sempre più urgenti accordi con altre nazioni africane per organizzare i rimpatri.

Nel complesso, con questi due decreti legge il governo lancia un chiaro messaggio ai cittadini che hanno manifestato in tanti modi (anche alle elezioni amministrative) il forte disagio che vivono in determinati centri urbani e in quasi tutte le periferie. Proprio per questo, in sede di conversione dei decreti sarebbe importante che in Parlamento si raggiungesse un’intesa il più possibile bipartisan.



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